Universo Battocletti, parla la psicologa Elisabetta Borgia: “Consapevole e antidiva”

Giusto domenica, l’ultimo trionfo, alla Corsa dei Castelli di Trieste. Poco più che una sgambata di passaggio in preparazione di un autunno che saprà ancora di cross. C’è un titolo europeo da confermare (a Lagoa, in Portogallo) e c’è da chiudere una stagione coi fiocchi. Che ha visto Nadia Battocletti laurearsi campionessa d’Europa su strada a Bruxelles e poi salire due volte sul podio ai Campionati mondiali di Tokyo, nei 5000 e 10.000 metri.

Una soddisfazione dietro l’altra, per Nadia, in questo biennio. La trentina delle Fiamme Azzurre domina in Europa e guarda da vicino, anzi vicinissimo, le africane sul piano globale. Un processo di maturazione graduale, che passa dalla cura dei diversi aspetti affrontati con il supporto di uno staff ampio e collaudato. Professionisti che lavorano per obiettivi comuni con la mezzofondista più forte d’Italia. Sempre più forte di gambe, ma anche di testa. A quest’ultima ci pensa da tre anni Elisabetta Borgia, psicologa dello sport molto conosciuta negli ambienti del ciclismo: lavora per la federazione italiana e per la Lidl-Trek. Con la lieta parentesi nell’atletica, dettata proprio dalla collaborazione con Nadia Battocletti.

“Il nostro percorso – racconta Elisabetta Borgia – è cominciato tre anni fa. L’obiettivo era quello di consentire a Nadia di esprimersi al 100% e di limitare tutti i fattori vulnerabili affinché potesse tirare fuori migliori prestazioni e crescere dal punto di vista fisico, tecnico e mentale”.

Che tipo di lavoro fai con lei?
“E’ innanzitutto un lavoro di monitoraggio e di strutturazione del tempo. Venendo dal ciclismo ho scoperto tante cose nuove nel mio rapporto con Nadia ma ne ho portate altre. Una su tutte è la programmazione della giornata, il cosiddetto daily schedule. Non serve solo a organizzare ma anche ad anticipare, avere il controllo sulle azioni, gestire l’ansia”.

Elisabetta Borgia con Nadia Battocletti alle Olimpiadi di Parigi.
Elisabetta Borgia con Nadia Battocletti alle Olimpiadi di Parigi.


Vedere Nadia all’opera significa farsi contagiare da serenità e tranquillità. E’ davvero così? Si nasce capaci di controllare le emozioni o quello che vediamo oggi è il frutto di un percorso?
“Quando seguo gli atleti, l’aspetto a cui tengo maggiormente è la self-confidence. E’ da questa percezione di se stessi che si sviluppa la capacità di regolare le emozioni e che si mettono serie basi per performance positive o negative. Nadia adesso si sente forte ed è consapevole di essere molto competitiva. Con lei lavoriamo sul qui e ora ma anche sul lungo termine, suddividendo i vari periodi agonistici in segmenti e fissando per ogni periodo un obiettivo. Alla fine del mini ciclo occorre fermarsi e fare debriefing per interiorizzare quello che è successo. E’ chiaro che a ridosso delle gare c’è un altro tipo di lavoro che va fatto, con un focus sulla preparazione e gestione della competizione. Con Nadia stiamo portando avanti un progetto d’equipe. Mi interfaccio spesso con papà Giuliano, con l’analista Pierluigi Fiorella ma anche con osteopati e fisioterapisti. Lei adesso ha tante figure di riferimento…”.

Da due anni a questa parte ciò che colpisce è la sua capacità di non fallire gli appuntamenti.
“Appartiene alla sfera dei fuoriclasse. A quelli che hanno qualcosa in più. Ricordiamoci che siamo natura e cultura insieme. C’è il suo patrimonio genetico, piuttosto generoso. Ma c’è anche tutto il lavoro che sta facendo per migliorarsi. Personalmente, la sto supportando nel conoscersi e nel raggiungere quella consapevolezza di sé, fondamentale per i suoi risultati. Abbiamo un’ottima relazione, con lei posso anche affrontare la parte teorica, cerco di far sì che abbia gli strumenti adatti per gestirsi in autonomia. Non sarò mai quella che dice: “Fai tre respiri” o a dirle quale sia la cosa giusta da fare. Non sono io ad avere le risposte”.

Il momento più difficile?
“Non amo parlare di clic o di svolte. Ma di sicuro la delusione della finale dei mondiali di Budapest 2023, di fatto alla fine del nostro primo anno di lavoro, ha fatto da spartiacque alla sua condizione mentale. E’ riuscita a leggere bene quell’esperienza negativa, a tirarci fuori una morale che le ha fatto cambiare passo. Questo succede spesso proprio nelle controprestazioni. Da quel momento, si è data un’organizzazione più precisa e ora arriva puntuale ai grandi eventi. Il passaggio più complicato, oggi, è quello di gestire la pressione”.

Nadia Battocletti stella azzurra ai mondiali di Tokyo.


Di fatto è sulla bocca di tutti. E’ il faro di un intero movimento.
“E’ l’osservata speciale. I suoi risultati sono altisonanti non solo nell’ambiente dell’atletica ma fanno rumore in tutto lo sport italiano perché sta toccando vette impensabili. La notorietà va gestita nel quotidiano, perché adesso a Nadia la riconoscono anche al supermercato. Però ha un grosso vantaggio: non è diva, le viene facile evitare le distrazioni”.

Come sta gestendo il suo ritrovarsi spalla a spalla con le atlete degli altipiani africani?
“Anche in questo caso alla base di tutto c’è il senso di autoefficacia. E’ consapevole di essere la numero uno in Italia, un’eccellenza, ma è giusto che avesse timori reverenziali nei confronti delle formidabili keniane ed etiopi. E’ partita in punta di piedi, con il tipico processo di quei giovani che scattano la foto con i loro idoli. Ma poi quegli stessi giovani, dopo 15 anni, magari si trovano a gareggiare contro di loro e anche a batterli. Nelle prime occasioni guardi le avversarie da lontano, non hai la cattiveria giusta per allargare i gomiti. Sei lì e pensi che sia pura casualità”.

E poi?
“Poi risuccede. Cominci a crederci e a renderti conto che quel livello ce l’hai. Tanto è vero che a Tokyo abbiamo provato a fare per la prima volta qualcosa di diverso. Nadia ha provato ad attaccare e non solo a difendersi. Ora sa che può diventare la numero uno. Sa che trovarsi lì non è più casuale. Che le avversarie non hanno niente più di lei”.


Frequentare l’università l’ha aiutata in un certo senso a distrarsi e a vivere l’atletica con più leggerezza?
“Molti atleti si comportano come i giocatori d’azzardo. Puntano tutte le fiches solo su una cosa, cioè lo sport. E se non va bene, allora cade il mondo. Credo che l’iperspecializzazione sia un male della società odierna e porta molti giovani al burnout. E’ giusto lasciare invece più porte aperte, oltre a vivere una vita normale. Nadia corre ma non solo. Studia, frequenta l’università, esce con gli amici, ha un fidanzato. Di mestiere fa l’atleta professionista e vive bene di questo. Ma saper fare altro e portare avanti interessi che non siano solo l’atletica le fa solo bene”.

In una recente intervista, Gianni Iapichino, papà e allenatore di Larissa, ha affermato che la figlia non si affiderà più a un mental coach e che dalle situazioni difficili bisogna uscirne cavandosela da soli. Cosa ne pensi?
“In generale credo nella qualità del lavoro. Ho studiato che una prestazione sia il risultato di tre ambiti: fisico, tecnico e mentale. Non tutti quelli che vincono hanno un preparatore o un mental coach. Ma se un’atleta sente il bisogno di averlo e riconosce di avere un limite, è giusto che chieda a qualcuno che abbia certe competenze. Ben venga cavarsela da soli, ma affidarsi a un professionista significa avere strumenti in più per affrontare le sfide”.

Il pregiudizio sulla salute mentale esiste ancora?
“Sì, anche se molte cose sono cambiate rispetto a quindici anni fa. Credo però che sia la visione a essere distorta. Perché si crede che un mental coach o uno psicologo dello sport sia una figura che risolva i problemi degli atleti. Ma non è affatto così”.

foto di Nadia Battocletti in gara di Grana / Fidal

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