Gli allenamenti di Kiptum, il rischio infortuni, il recupero: la parola all’esperto

Nei giorni scorsi avevamo riportato le parole di Gervais Hakizimana, allenatore del nuovo primatista mondiale di maratona Kelvin Kiptum, a proposito delle infernali sessioni di allenamento e della relativa preoccupazione del tecnico sugli infortuni a cui il fenomeno keniano sarebbe sempre più esposto.

Abbiamo interpellato sull’argomento il dottor Cristian Bruno, fisioterapista e osteopata, che nell’atletica leggera segue diversi azzurri di spicco, tra cui Gaia Sabbatini, l’ostacolista Veronica Besana e gran parte dei marciatori della Nazionale, a cominciare gli olimpionici Massimo Stano e Antonella Palmisano.

Christian, partiamo da ciò che ha dichiarato Hakizimana. Il ruandese ha lamentato innanzitutto lo scarso riposo che Kiptum si concederebbe sia durante la preparazione che dopo le gare.
“Credo che ci siano delle contraddizioni al riguardo e sorgono spontanee delle domande sul ruolo della preparazione che hanno impostato. Se gli hai concesso determinati volumi, non puoi pensare adesso ai rischi che questi comportano. E’ tardi insomma per porsi il problema. Poi è chiaro che bisogna considerare quello che rappresenta per i keniani la maratona. Investono molto in fatica perché vincendone una importante hanno l’occasione per emergere”.



Hakizimana ha anche rivelato parte della tabella che Kiptum ha osservato per preparare la maratona di Londra in 4 mesi. Quali sono i principali spunti da prendere in considerazione?
“Uno su tutti è il grande lavoro di forza che si fa durante il primo mese. L’allenamento della forza sta acquisendo importanza in tutte le discipline, anche nell’endurance, specie come chiave di prevenzione degli infortuni dell’atleta. Pure su pazienti non professionisti è ormai risaputa la possibilità di ridurre i comuni dolori della corsa allenando in modo più specifico la forza”.

Il coach di Kiptum ha parlato di serio rischio infortuni e di una carriera che per il 23enne potrebbe già essere finita tra cinque anni se dovesse continuare a questi ritmi.
“Prima di esprimere ogni giudizio o previsione, bisognerebbe conoscere nel dettaglio l’allenamento specifico di Kiptum, che nel mondo della maratona rappresenta un unicum, data la sua esplosione a 23 anni, anomala se paragonata a un Kipchoge venuto fuori più gradualmente con il record del mondo stabilito oltre i 35 anni. In generale, è possibile affermare come premessa che gli atleti africani sono in parte più al sicuro in quanto corrono per la maggior parte dell’anno su superfici più morbide rispetto all’asfalto”.

Ma nello specifico, uno come Kiptum, a cosa va incontro percorrendo tutti quei chilometri (fino a 300 a settimana) in allenamento?
“Kiptum non sfugge a quello che rischiano gli altri maratoneti. A cominciare dalle fratture da stress causate dal sovraccarico delle articolazioni che recepiscono in modo anomalo il ritorno elastico della corsa. La tibia e l’osso sacro sono le parti sicuramente più delicate. Poi bisogna tenere in considerazione le tendinopatie”.



Quindi sono sempre gli allenamenti disfunzionali a creare i principali problemi fisici…
“Gli infortuni dei runners provengono per l’80% da sovraccarichi. Il restante 20% interessa l’alimentazione, il recupero, i trattamenti, le scarpe”.

A proposito di recupero: Hakizimana ha parlato anche necessità di un mese di riposo per Kiptum dopo Chicago. Come si recupera dopo una maratona del genere?
“Precisiamo fin da subito che un atleta come Kiptum ha faticato meno correndo 42 km in 2 ore rispetto a chi la maratona la fa in 4 ore. Se si arriva a quei ritmi, significa che alle spalle c’è un lavoro davvero importante. Il riposo non sarà statico ma dovrà basarsi su una rigenerazione attiva dove sarà ancor più fondamentale non andare oltre l’asticella con i nuovi carichi”.

Proprio sul recupero sembra esserci più attenzione rispetto al passato.
“Dico che sarà la chiave per il futuro degli atleti. Negli ultimi anni ci si è concentrati molto sulle metodologie di allenamento per ottimizzare le performance. Ma adesso il focus si sta spostando sulle modalità di recupero e sulla costanza a cui si fa ricorso. Io, ad esempio, credo molto nella piscina per un recupero attivo ottimale, lontano dalla fase di carico, che non stressi le articolazioni e garantisca variazione al gesto. L’acqua come abitudine per ricominciare dopo una grande fatica”.



Tu hai avuto modo di osservare da vicino i fondisti africani durante le precedenti esperienze nello staff del Golden Gala.
“Ho notato quanto fossero ispessiti i loro tendini. Eppure corrono forte, probabilmente hanno la tendenza a stringere di più i denti. Per loro la corsa è anche riscatto sociale. La concorrenza interna, poi, è tantissima. Se hanno un minimo cedimento, si fa largo subito un altro atleta. E poi ci sono anche differenze culturali e di approccio ai trattamenti e alla corsa”.

Qualche esempio?
“Loro utilizzano quotidianamente la massoterapia per decontrarre i muscoli e mandar via la fatica. I trattamenti sono molto più lunghi: le sedute di tecar durano due ore, mentre noi europei tendiamo a variare di più le tipologie di trattamento riducendo il minutaggio delle sedute. Inoltre siamo più attenti alla postura, tendendo spesso all’ipercorrezione. Guardate invece gli atleti africani: appoggi non bellissimi eppure corsa efficace”.

E sulle scarpe dei miracoli cosa ci dici?
“Che non vanno bene per tutti, al di là del costo. Tanti giovani che hanno provato le suole in carbonio, sia nel mezzofondo che nella velocità, si sono infortunati. E’ sempre una questione di caratteristiche, di capacità di recepire quello che la scarpa tecnologica ti dà e come riesci a gestirlo a livello di strutture tendinee. Un po’ come le gomme uguali per tutte in formula uno, con prestazioni diverse in base al telaio sviluppato dalle scuderie. Anche qui, il concetto della forza nella prevenzione e adattamento della struttura muscolare torna a mio avviso prepotente”.


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