Jacobs negli Usa: ma cosa lo aspetta? Scopriamolo con Simone Collio…

Si è scritto e detto di tutto in questi giorni sul divorzio tra Marcell Jacobs e Paolo Camossi e sulla scelta del campione olimpico dei 100 metri di emigrare negli Stati Uniti, più precisamente in Florida, alla corte di Rana Reider.

Sulla carta stampata e non solo, sono piovute critiche e scetticismo dagli addetti ai lavori, tirando in ballo tutti i “contro” di una decisione sicuramente rischiosa a pochi mesi dalle Olimpiadi di Parigi.

Non manca, tuttavia, il partito di quelli che a questa netta sterzata applaude con favore, cercando di disinnescare dubbi ed eccessive polemiche su un caso che ha richiamato una grande attenzione mediatica, testimonianza di quanto l’atletica azzurra sia viva e desti sempre più interesse nel dibattito pubblico.

Simone Collio, ex sprinter da 10″06 sul rettilineo, si è ritagliato un ruolo importante nella fisioterapia internazionale ed è attualmente coordinatore della divisione performance della Wintecare.

Simone Collio.
Simone Collio.



L’azienda svizzera ha in atto una collaborazione anche con il team di Rana Reider. Simone conosce bene il tecnico statunitense. E con lui abbiamo provato a capire meglio ciò che aspetta Jacobs all’arrivo negli Usa.

Simone, che tipo è Rana Reider?
“Sono stato diverse volte in Florida e ho visto da vicino come lavora. Cominciamo col dare un’informazione importante: Rana ha passato tanto tempo in Europa. Ha lavorato per la federazione olandese e per quella inglese. Ha molta più esperienza di altri tecnici americani che non sono entrati in contatto con gli atleti europei. E ha fatto correre velocissimo campionesse del calibro di Dafne Schippers, fresca di ritiro, e Mujinga Kambundji”.

Si è detto che Jacobs non riceverà tutte le attenzioni, anche da un punto di vista delle tempistiche sull’assistenza medica, di cui godeva a Roma.
“Marcell va ad allenarsi in uno dei posti più belli al mondo e in una struttura a cui non manca davvero niente, dai macchinari alle palestre. Reider si è sempre dotato dei dispositivi più innovativi. Quando ha necessità di un supporto più dettagliato è uno che in 24 ore è capace di organizzare un viaggio in Europa per eseguire ulteriori test”.

La motivazione del trasferimento sembra in ogni caso risiedere più nel desiderio di lavorare con un team stimolante.
“Credo sia la sua esigenza principale. Trovare un gruppo molto competitivo è quello che serve a un velocista che fatica a ritrovarsi. Probabilmente Marcell ha bisogno di confrontarsi tutti i giorni, di avere chi gli tira la prova lunga, chi la partenza, chi lo tiene sulle corde e gli fa salire l’adrenalina. Sono fattori importanti in vista dell’anno olimpico. Poi di certo avrà influito il fatto che troverà un gruppo di allenamento targato Puma”.

Marcell Jacobs.


Altro dubbio sollevato è l’impossibilità, in gruppo, di essere seguiti e coccolati 24 ore su 24 un po’ come faceva Paolo Camossi.
“Posso assicurare che Reider è uno che vive per l’atletica leggera. Escludo che possa non prestare attenzione a Marcell. Piuttosto programmerà slot diversi per ogni suo atleta. Dubito che delegherà agli assistent coach, che negli Usa svolgono più una funzione di organizzazione del lavoro e di data collection sui cloud. Ricordiamoci che a Jacksonville non esistono rilevamenti manuali, ma solo split elettronici”.

Magari Marcell sta cercando qualche certezza per il suo fisico dopo gli infortuni degli ultimi due anni.
“E’ una domanda lecita, visto che ha avuto un problema dopo l’altro. Intanto ricordiamo la bravura di Paolo Camossi, un tecnico validissimo e riconosciuto a livello internazionale. La tecnica di corsa di Jacobs è esemplare e la sua fase lanciata è presa come esempio di perfezione. Ed è il coach che lo ha portato a correre in 9″80 alle Olimpiadi. Anche il team medico che l’ha seguito è estremamente valido. Quando da campione olimpico e mondiale indoor vieni battuto in un europeo indoor e poi ti ritrovi a rincorrere per tutta l’estate, vai in difficoltà e cominci a guardare intorno. Ma penso che l’aspetto principale sia sempre quello della ricerca del gruppo di lavoro”.

In Italia non è riuscito a trovare quello che cercava.
“Qualcosa evidentemente nel suo team non ha girato per il verso giusto. Ed è chiaro che uno come lui non può allenarsi con chi fa 10″30. L’unica cosa che avrebbe potuto fare era quella di andare ad allenarsi con Tortu e Ceccarelli. Ma non credo che sarebbe stato fattibile. A questo proposito, mi piacerebbe dire una cosa sul cambio dell’allenatore”.



A te la parola.
“Vorrei sottolineare la differenza di mentalità tra Usa ed Europa, o meglio tra Usa e Italia. Quando in America qualcuno cambia il coach, non viene fuori tutto questo scalpore. E’ una cosa normalissima, ordinaria. Lo stesso Bracy, che con Reider ha preso l’argento a Eugene, nel 2023 non è andato forte e sta andando via. Nessuno la prende sul personale, non si parla di tradimento né di litigi. L’allenatore è un professionista pagato dallo sponsor o dall’atleta e se viene licenziato, lo accetta. Noi abbiamo un sistema obsoleto”.

Invece come dovrebbe essere?
“L’atletica italiana sta vivendo un grande momento. Ci siamo evoluti dal punto di vista delle metodologie d’allenamento, facendo uno switch verso le scuole d’Oltreoceano. Abbiamo introdotto elasticità alla tradizione “vittoriana” e i risultati sono visibili. E allora perché non evolvere anche per l’inquadramento dei tecnici? L’allenatore dovrebbe essere un professionista, senza dipendere dal contributo federale o dalla piccola società in cui cresce l’atleta e poi viene in qualche modo abbandonato quando questi esplode. Si tratta di un cambio che non puoi fare da un giorno all’altro, anche perché bisognerebbe ragionare sul blocco costituito dai Gruppi Militari e dai loro team, ricordando che danno da vivere a tantissimi atleti e per 17 anni lo hanno fatto anche con me. Ma è giusto che si cominci a pensare a una svolta verso la privatizzazione, approfittando del successo in Coppa Europa, dei campioni che abbiamo e dell’interesse mediatico per attrarre delle realtà indipendenti che possano finanziare l’atletica”.

Domanda secca per salutarci: in Italia chi avrebbe potuto allenare Jacobs?
“Per le esigenze di cui necessita Marcell, nessuno. Se parliamo di competenze ed esperienza, ve ne sono alcuni, come ad esempio il prof. Di Mulo. E’ un tecnico di formazione tradizionale ma di mentalità elastica, che ha allargato i propri orizzonti e si è evoluto tantissimo. Ma torniamo al punto di partenza: a Catania con chi si sarebbe allenato?”.

Foto Fidal

Potrebbe interessarti anche...

Gli articoli di questo autore

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *