Giorgio Rondelli e l’Ambrogino d’Oro: “Anche io devo tanto a Milano”

Il prossimo 7 dicembre Giorgio Rondelli, uno degli allenatori più vincenti della storia dell’atletica, riceverà dal Comune di Milano l’Ambrogino d’Oro.

L’Ambrogino d’Oro è il massimo riconoscimento che la città meneghina riserva a chi le ha dato lustro e mai come stavolta il sindaco Sala sembra aver messo tutti d’accordo, premiando colui che ha dedicato la vita alla pista, costruendo e gestendo dagli anni Settanta a oggi i più grandi talenti del mezzofondo italiano.

“Ma il riconoscimento è reciproco – sottolinea al telefono coach Rondelli, 77 anni – perché anche io devo tantissimo a Milano. Se fossi nato da un’altra parte, probabilmente non avrei avuto le stesse opportunità. Sono molto orgoglioso per aver fatto tutta questa strada e, da milanese doc della zona Isola, per aver dato un contributo importante a molti talenti, a cominciare da quelli della mia società, la Pro Patria, che oggi si chiama Cus Pro Patria Milano”.


Rondelli iniziò a gareggiare per lo storico club lombardo nel lontano 1961, quando era al quinto Ginnasio. Dieci anni dopo, ultimata l‘ISEF, il presidente Giuseppe Mastropasqua lo avviò alla carriera di allenatore. “Le cose sono subito andate bene, perché nel 1972 vinsi il titolo italiano Allievi nella maratonina di Forlì con Raimondo Petrone. Quella storia prosegue ancora adesso con Giovanna Epis, che a Verona ha conquistato il tricolore di maratona, il mio 122° titolo italiano da allenatore”.

Ma Giorgio Rondelli come si è scoperto allenatore di successo?
“Rifacendomi all’esperienza di buon atleta (quattro presenze in Nazionale juniores tra il ’64 e il ’65 nei 1500 metri) sono sempre partito dai miei difetti. E poi avevo la curiosità di vedere cosa si faceva di diverso nel mondo. La svolta avvenne negli anni ’70, quando la Pro Patria organizzava il Meeting all’Arena Civica. In quell’occasione, arrivavano a Milano diversi atleti internazionali come il neozelandese John Walker e il mito Steve Prefontaine, nonché Arthur Lydiard, considerato il padre del running. Chiedevo, giravo, mi confrontavo, volevo sapere come si allenavano”.

E poi?
“E poi ci ho messo sempre un po’ di fantasia nell’impostare i lavori. Credo siano decisivi anche i rapporti con le persone. Che gli atleti debbano allenarsi duramente, non ci piove. Ma il salto di qualità, oltre che fisico, deve essere mentale. Ho cercato di entrare nella testa delle persone per costruirle. Anni fa, al Cross del Campaccio, un giornalista mi diede un appellativo che mi piacque: “Ingegnere della vita altrui”.

Foto Getty Images.


Danilo Goffi, tuo collaboratore, a proposito dei grandi volumi sostenuti da Kiptum, mi diceva che anche con te, negli anni ’90, la maratona significava chilometraggio.
“I volumi non si discutono, ma io credo nei lavori di qualità, avendo iniziato da 5.000, 10.000 e 3.000 siepi con i miei allievi. Il fattore velocità è sempre stato importante e nella maratona di oggi lo è ancor di più, perché sembra essersi trasformata in una 4×10.000 metri. E’ come se fosse la gara più lunga del mezzofondo prolungato. Le metodiche moderne vanno in quella direzione. I lavori qualitativi fanno sempre la differenza”.

A che punto è il tuo lavoro con Giovanna Epis?
“Di strada ne abbiamo fatta in questi sei anni. E’ partita da 2h32′ e adesso è scesa a 2h23′. Non posso dire che ha già toccato il punto massimo, ma di traguardi ne ha raggiunti parecchi e ha 35 anni. La ciliegina sulla torta sarebbe il record italiano, che è già a rischio domenica a Valencia con la Yaremchuk. Giovanna attualmente è circondata da uno staff completo, composto da preparatore muscolare, fisioterapista e mental coach. Non ha lasciato nulla al caso. E’ un piacere lavorare con lei, è una grande professionista e abbiamo un continuo confronto sulla programmazione e i lavori da svolgere. Da un punto di vista professionale, solo Alberto Cova in campo maschile può essere considerato ai suoi livelli”.

Scrivi ogni giorno degli allenamenti di Alex Schwazer sul tapis roulant del Grande Fratello.
“Sono un collaboratore della Gazzetta da diversi anni e ho accettato di commentare i dati che Schwazer invia alla redazione. Posso solo commentare quelli e dire che è ancora un atleta integro e va forte. Sciovinismo? Sicuramente è anche un’operazione di un certo tipo, concordata con la sua manager (Giulia Mancini, ndr)”.



Ma qual è stata l’emozione più grande che hai vissuto da allenatore?
“Ne scelgo due. La vittoria agli Europei di Atene con Cova, la prima del trittico. E il mondiale di Panetta a Roma. Però sono legato anche ad altri successi, come ad esempio il titolo europeo di cross a squadre vinto a Clusone con la Pro Patria. Ancora oggi, è l’unica società italiana ad averlo vinto. O come il titolo europeo juniores con tanto di record mondiale fatto da Gaetano Erba nel 1979 sui 2.000 siepi”.

Parliamo di Yeman Crippa: dovrebbe dedicarsi esclusivamente alla maratona?
“Il discorso è complesso. Finora in pista non ha fatto il salto di qualità. Gli è sempre mancato qualcosa nelle manifestazioni più importanti, dov’è stato preceduto da 7-8 atleti. A mio avviso, debuttare in maratona a Milano non è stata una grande scelta. Ha avvertito la pressione di correre nella propria città, c’erano troppe aspettative. Anche perché quella maratona ha poi compromesso la stagione in pista. Fossi stato in lui, avrei dedicato tutte le energie alla stagione outdoor estiva per poi debuttare in autunno, magari a Valencia. Adesso dovrebbe ripresentarsi a Siviglia e vediamo se sarà in grado di migliorare. In ogni caso, Kiptum a parte, per essere protagonisti oggi devi correre le 2h3′-2h4′”.


Domenica prossima abbiamo possibilità di vincere gli Europei di cross?
“Partirei con tre obiettivi. Crippa può salire sul podio. L’anno scorso è arrivato quarto, quest’anno non dimentichiamoci che mancherà Ingebrigtsen. Una medaglia me la aspetto anche da Nadia Battocletti, all’esordio in campo assoluto dopo i quattro successi in campo giovanile. E c’è sempre la staffetta, chiamata a ripetersi dopo Venaria Reale. Sono felice per il ritorno di Marta Zenoni, un grandissimo talento della nostra atletica. Non credo che possiamo partire favoriti, invece, tra gli under”.

Rondelli fino a quando sarà in campo?
“Fino a quando avrò le forze. Poi ci sono anche le mie figlie, che fanno parte di un nuovo settore giovanile che ho ristrutturato e annovera circa sessanta atleti. Di ragazzi promettenti ce ne sono tanti. Se diventeranno campioni dipenderà dalla capacità di apprendimento, di sopportazione dei carichi di lavoro e della pressione psicologica”.

Foto apertura Mandelli




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