Italia sul tetto d’Europa, ma l’organizzazione resta provinciale

L’atletica italiana ci metterà un po’ a riprendersi dalla sbornia di medaglie: il record di Spalato 1990 è già stato superato e alla storica serata di sabato è seguita una domenica iniziata con la doppietta nella mezza maratona maschile (più l’oro a squadre) e terminata con il bronzo di Catalin Tecuceanu negli 800 metri e quello di Zaynab Dosso nei 100. Una medaglia, questa, che all’Italia mancava da 22 anni.

Come il compagno di allenamento Lorenzo Simonelli – oro il giorno prima nei 110 metri a ostacoli – la Dosso ha eseguito due uscite dai blocchi rapide, precise, fulminee. Non una, perché entrambe le serie sono state caratterizzate da una prima falsa partenza. One shot, è il bello della velocità.

Simonelli Lorenzo oro nei 110 hs.


Gli allievi di Frinolli e i nuovi assi dell’atletica azzurra

Il fatto che entrambi siano riusciti a schizzare in avanti con la stessa precisione è sicuramente merito di coach Giorgio Frinolli, che ha trasformato due giovani talenti in due professionisti. Discorso che vale anche per i compagni di squadra Leonardo Fabbri, oro nel peso, e Mattia Furlani, argento nel salto in lungo con 8.38, miglior prestazione mondiale under 20 (già sua), piazzata al primo salto. Anche questa volta, come ai Mondiali indoor di Glasgow, il reatino è finito dietro a Miltiadis Tentoglou.

Il campione greco ha più esperienza, sorride poco in pedana, è mosso da quell’insoddisfazione che spesso caratterizza gli atleti di punta, quelli che anche quando vincono non smettono di avere fame di medaglie. E infatti non ha perso la concentrazione nemmeno quando prima dell’ultimo salto si sono diffuse in tutto l’Olimpico le note del sirtaki, la musica tratta dal film “Zorba il greco”.

Più di qualcuno sugli spalti deve aver pensato: “Ma che è ‘sta cafonata?”, invece Tentoglou non si è scomposto, lo ha fatto solo dopo aver balzato, si è sorpreso del segno lasciato sulla sabbia, che infatti è uno strepitoso 8.65, record dei Campionati. La pedana rialzata sicuramente aiuta. Il pubblico apprezza e nell’anno olimpico gli atleti sicuramente non disdegnano.

Mattia Furlani argento nel lungo.

Su un’altra pedana, quella del peso, Leonardo Fabbri, dopo un primo lancio con cui ha rotto il ghiaccio, ha chiesto al pubblico silenzio. L’emozione e il peso – questa volta quello delle aspettative – trasparivano dallo sguardo. Come a dire: “Lasciatemi concentrare che vi faccio vedere io”. A fine lancio il pubblico è esploso nel beato e il lanciatore fiorentino allora ha chiesto di alzare il volume. Quello con gli spettatori è diventato un gioco: silenzio, denotazione di urla, le tribune si sono trasformate in polmoni che si sono mossi seguendo il suo ritmo fino al “poporopo” finale di esultanza per l’oro europeo.

Non era ancora nella sua forma migliore Marcell Jacobs, soddisfatto però di aver centrato quello che per lui era uno degli obiettivi della stagione, riconfermarsi campione. Gli altri due sono: riprendersi la medaglia olimpica e restare in salute, ha detto ai microfoni.

Ali, Trapletti, Fantini: medaglie (forse) meno pronosticate

Nella stessa finale Chituru Ali ha agguantato l’argento. La possibilità di medaglia si era concretizzata solo a pochi giorni dall’inizio dei Campionati dopo una serie di defezioni. Era frastornato, non aveva ancora realizzato di aver fatto un salto di qualità importante, nonostante i tempi delle gare di avvicinamento agli Europei facessero presagire tutt’altro.

Un argento come quello di Valentina Trapletti nella marcia: inaspettato, ma più alla portata di quanto loro stessi credessero. Come l’oro di Sara Fantini: alle qualificazioni aveva sentito il bisogno di una sicurezza in più e in finale ha tirato fuori la grinta della giovane leonessa per superare la polacca Anita Wlodarczyk, tre volte campionessa olimpica e detentrice del record mondiale della specialità. Non proprio l’ultima arrivata. Un passaggio di testimone, forse una nuova consacrazione.

Un’incetta di medaglie che ha oscurato l’impresa di Sveva Gerevini, l’atleta dei Carabinieri (ci ha tenuto a sottolinearlo con accorati ringraziamenti) che ha abbattuto un record italiano che durava da 25 anni. E che ad alcuni ha fatto salire l’arroganza di poter disprezzare l’argento europeo di Filippo Tortu. Il fatto che non sia stata la sua miglior corsa, a partire da un tempo di reazione un po’ alto, e che sia comunque arrivato a medaglia, dovrebbe farci ben sperare per Parigi.


E l’organizzazione? Non convince su molti aspetti

Ma i successi rischiano anche di farci perdere di vista il contesto: se da una parte questa nuova generazione di atleti ci sta dimostrando prestazioni assolute e maturità nel calcare piste internazionali, l’organizzazione dell’evento a Roma è di un pressapochismo a tratti imbarazzante che molti, tra i corridoi, hanno definito tutto italiano.

I sistemi informatici non funzionano, lasciando speaker e commentatori a seguire le gare senza il sussidio dei monitor. Durante la serata di sabato, anche a causa dei vistosi festeggiamenti italiani, (quasi) nessuno si era accorto che la lanciatrice croata Sandra Perković stava vincendo il suo settimo europeo in carriera – risultato non da poco.

Una finale quella del disco che, come le gare di velocità con le partenze e le gare dei salti in estensione, è stata caratterizzata da problemi tecnici, che non sembrano dipendere tanto dai giudici quanto dalla strumentazione in dotazione.

Informatica in tilt: partenze false, misurazioni tardive

Durante la semifinale del disco femminile, il terzo lancio della svedese Vanessa Kamga misurato a 61.68 era in realtà più vicino ai 60 metri. I giudici lo hanno appurato solo in un secondo momento a gara conclusa utilizzando l’analisi video. Per sicurezza, però, avevano fatto disputare la finale a nove atlete, includendo anche la Kamga.

Una volta confermato che il lancio era più corto, le hanno annullato gli ultimi tre lanci, incluso quello che sarebbe stato il suo personale, di 62.71, e che l’avrebbe piazzata al quinto posto. Con una misura di 60 metri, infatti, non avrebbe avuto accesso alla finale. Nono posto e niente PB.

I ritardi nella misurazione dei salti durante la qualificazione del salto triplo hanno spinto anche Tobia Bocchi a presentare ricorso: ha aspettato troppo tempo prima del suo ultimo salto restando fuori dalla finale per un centimetro. Ricorso accettato, stasera si salterà in 13, tre gli italiani in gara.

Niente da fare invece per Matteo Melluzzo: i giudici hanno sparato tardi la falsa, il siciliano è arrivato in fondo. Nel remake della semifinale l’allievo di Di Mulo non ce l’ha fatta, ritrovandosi i quadricipiti duri come quelli delle statue allo Stadio dei Marmi.

Olimpico semivuoto: il marketing non ha funzionato

Il poco pubblico presente è costretto a raggiungere i posti a sedere senza mappa o indicazioni. Ci si chiede come ci riescano i poveri stranieri che spesso si interfacciano con personale che parla a malapena l’inglese. Durante la cerimonia di premiazione del getto del peso femminile, al posto dell’inno olandese è stato suonato un altro inno, per fortuna la vincitrice Jessica Schilder si è fatta una risata alla fine.


La European Athletics aveva già ripreso Fondazione EuroRoma 2024, l’ente organizzatore, per la scarsa promozione dell’evento (nonostante sconti del 40% e 50% sono stati venduti pochissimi biglietti, appena 80mila per 6 giorni di gare).

Negli ultimi giorni l’ente europeo è tornato a criticare l’organizzazione romana. “Eh, siamo in Italia”, si è sentito vociferare tra il pubblico e gli addetti ai lavori. “Eh, siamo italiani”, si diceva invece dell’atletica fino a qualche tempo fa, con un sospiro di rammarico perché al massimo riuscivamo a portare a casa qualche medaglia e qualche buon quarto posto. Ma accadeva prima di quell’onda sollevatasi a Tokyo 2020. Come ha più volte dichiarato la Dosso, sono stati Jacobs e Tamberi a fare da apripista. Eppure non ci siamo ancora abituati a vincere così tanto e per questo le medaglie ci ubriacano.

Se questa Federazione ha stravolto l’atmosfera con cui ci si presenta alle competizioni internazionali (probabilmente merito del presidente Stefano Mei, che da ex atleta capisce meglio di chiunque altro i nostri connazionali impegnati in pista), dall’altra la gestione di questi Europei fa tirare un respiro di sollievo al pensiero che la World Athletics non ci abbia assegnato i Mondiali del 2027, che toccheranno a Pechino.

Gli atleti hanno preso confidenza con i gradini più alti del podio, anche perché la Federazione li ha messi nelle condizioni migliori per il successo. Ma sembra anche che sia la stessa Fidal la prima a fare fatica a stare al passo con questi risultati eccellenti.

foto Grana / Fidal

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