Maglie azzurre e nuove leve: Michele Basile svela le carte del salto triplo

Agli Europei di Roma, che si terranno dal 7 al 12 giugno allo Stadio Olimpico, vedremo scendere nella pedana del salto triplo maschile Emmanuel Ihemeje, Tobia Bocchi e Andrea Dallavalle, mentre al femminile è sicura la qualificazione di Dariya Derkach, nonostante una stagione indoor non proprio brillante.

A lei non si unirà Ottavia Cestonaro, in fase di recupero da un infortunio che le ha impedito di partecipare anche alla stagione al chiuso, ma – si spera – forse vedremo la partecipazione di Veronica Zanon, che, con i campionati nel mirino, da qualche mese ha deciso di trasferirsi presso gli impianti del CUS Palermo sotto la guida del tecnico Michele Basile, collaboratore federale per i salti in estensione e storico allenatore di Simona La Mantia.


Michele, direi che agli Europei ci presentiamo con una squadra di triplisti notevole.
“E pensare che in questo momento avremmo altri tre atleti che rientrano nel ranking: Simone Contaldo che è 27mo, Federico Bruno che è 29mo ed Enrico Montanari che è 30mo. Ma si possono portare solo tre atleti per Paese. Dispiace per i ragazzi ovviamente, ma come nazione possiamo dire che siamo orgogliosi. E questo senza poter schierare Andy Diaz, che potrà gareggiare con la maglia azzurra solo dopo il primo agosto, quindi scenderà in campo alle Olimpiadi di Parigi”.

Andy lo scorso anno ha battuto il record italiano che apparteneva a Fabrizio Donato, oggi suo allenatore, saltando 17.75 e quest’anno al coperto ha saltato 17.61. Al momento guida la classifica europea ed è terzo in quella mondiale. Magari a Parigi regalerà una medaglia all’Italia.
“Non lo diciamo… Però sai, ho avuto un passato anche nel calcio. Ci sono alcune partite in cui stai in panchina e continui a ripeterti: ‘Dai che adesso segniamo, ma perché non segniamo, dai che stiamo segnando’. Si vive quell’ansia del gol che sta per arrivare e ora è un po’ così: ci auguriamo tutti che questo gol arrivi”.


A gennaio sono venuti in raduno a Palermo Andrea Dallavalle e Ottavia Cestonaro con i rispettivi tecnici, Ennio Buttò, e papà Sergio. Com’è andata?
“A parte che hanno beccato gli unici giorni di pioggia che abbiamo in Sicilia in tutto l’anno (ride, ndr)… Ottavia in particolare stava piuttosto bene, tant’è che stava finalizzando la preparazione per le gare, ma poi ha avuto un infortunio importante ai flessori della gamba del primo balzo, l’hop, che l’ha costretta a fermarsi e non le permetterà di partecipare agli Europei”.

Però c’è speranza per le Olimpiadi di Parigi, ad agosto.
“Ottavia è magistralmente brava e lavora come una vera professionista. È difficile che a lei e suo padre, che sono una coppia eccezionale, sfugga qualcosa. Adesso darà il massimo anche per arrivare a Parigi e faremo in modo che ci riesca. Tra l’altro è una ragazza che ha una determinazione tale per cui non credo che sarà una semplice comparsa”.

Possiamo dire lo stesso anche di Dariya Derkach.
“Certo, con Alessandro Nocera sta facendo un lavoro straordinario. Anche lei aveva avuto qualche problema durante le indoor ma adesso ha ricominciato a lavorare a pieno ritmo e ci si aspetta un risultato importante agli Europei, sarà sicuramente protagonista in pedana a Roma”.


E Andrea Dallavalle?
“Anche lui era uscito bene dal raduno di Palermo, ma, dovendo rientrare, ha preferito puntare direttamente alla stagione all’aperto, perché in passato aveva avuto problemi con le pedane rimbalzanti. Penso che vedremo gareggiare anche lui tra fine aprile e inizio maggio. Per gli Europei di Roma è il primo atleta a entrare con il ranking, mentre Ihemeje e Bocchi si sono qualificati con il minimo”.

Raramente si sono viste così tante maglie azzurre nel triplo.
“Abbiamo avuto un passato da numeri uno, con Giuseppe Gentile e Fabrizio Donato che hanno entrambi vinto un bronzo alle Olimpiadi e sono stati tra i più forti atleti al mondo. Al femminile abbiamo avuto Magdelin Martinez e Simona La Mantia e oggi vediamo Dariya e Ottavia, ma dietro di loro, oltre a sperare che Veronica le raggiunga, ci sono una marea di ragazze giovani che hanno superato i 13 metri e fanno ben sperare per il futuro”.

Chi in particolare?
“Erika Saraceni (classe 2006, in forza alla Bracco Atletica, che lo scorso anno ha saltato 13.42, ndr), la stessa figlia di Fabrizio, Greta Donato (personale di 13.16), ma anche le atlete categoria promesse Greta Brugnolo (dell’Atletica Riviera del Brenta, 13.49 di PB) e Chiara Smeraldo, del CUS Genova (che lo scorso anno ha saltato 13.44). Al maschile sicuramente Bruno e Montanari che non sono più under23, hanno fatto entrambi più di 16.30 e ora si affacciano all’atletica internazionale. E stiamo aspettando che si riprenda a pieno titolo da un infortunio Federico Morselletto (dell’Atletica studentesca Rieti Andrea Milardi, classe 2003, con un personale di 15.97 siglato ai mondiali U20 di Cali, in Colombia, nel 2022, ndr)”.


E Veronica come sta?
“Sta piuttosto bene dal punto di vista fisico. Ha delle problematiche tipiche dei triplisti che bisogna tenere sotto controllo, ma abbiamo trovato un buon equilibrio tra la preparazione condizionale e quella tecnica. Ora le mancano le misure vere, ma lei è ancora giovane e ha la possibilità di fare un percorso di crescita lineare”.

Spiegaci meglio cosa intendi.
“Il salto triplo è equilibrio, per cui non sempre quando si migliora una delle componenti della prestazione si ottengono i risultati sperati. Quello su cui stiamo lavorando con lei è proprio il miglioramento e il mantenimento di questo equilibrio. Veronica, infatti, è davvero molto veloce. Però la velocità è un’arma a doppio taglio che bisogna imparare a utilizzare per balzare, e qui entra in gioco l’importanza della tecnica. Che per un’atleta donna è ancora più importante perché non può raggiungere gli stessi gradienti di forza di un triplista uomo. E riuscire a far combaciare tutto quanto richiede del tempo, ma visto che è giovane questo tempo potrebbe essere meno di quello che ci si aspetta”.

L’esordio quindi è vicino?
“Sì, probabilmente sarà intorno al 25 aprile, guardando agli Europei. Il minimo di 14.15 metri potrebbe essere ancora lontano, ma possiamo sperare nel ranking. Veronica in questo momento è 44ma, l’obiettivo è fare in modo che con i risultati delle prossime gare rientri tra le prime 30”.


Parlando di tecnica, a livello internazionale si vedono sempre più donne balzare con le braccia sincrone, come nel caso di Thea Lafond, l’atleta di Dominica che ha vinto i mondiali di Glasgow con la misura di 15.01 metri. Cosa ne pensi?
“Personalmente non ho dogmi. Per me le braccia sono un mezzo, non un fine. Sapendo che ogni atleta è diverso da un altro, io mi chiedo: “Qual è il livello coordinativo dell’atleta, qual è la lateralità e quindi la destrezza che ha con le braccia?”. E ancora: “Ci sono dei fattori condizionali – in particolare la forza – che possono determinare l’utilizzo di braccia sincrone piuttosto che di quelle alternate?”. Non ho mai allenato donne che utilizzano le braccia sincrone ma non escludo che possa succedere in futuro. Ma non mi metto di certo in testa di mandare in quella direzione tutte le ragazze che ho in pedana. Non credo sia una tecnica applicabile a tutti gli atleti, come se fosse una moda. La sensibilità del tecnico sta anche nel capire quali possono essere i margini di miglioramento nell’utilizzare una tecnica rispetto a un’altra… Sono così tante le variabili che non me la sentirei mai di ridurre tutto a braccia sincrone o braccia alternate.”

Tu hai seguito tante donne nella tua carriera, ci sono differenze tra allenare uomini e donne?
“Più passa il tempo e più mi rendo conto che ci sono grosse differenze. La parte psicologica è uno degli aspetti da tenere in considerazione e non è secondario. Ma parlerei piuttosto di pedagogia e livello di confidenzialità nei rapporti con l’allenatore, perché l’atleta donna, soprattutto quando è professionista, mette tutta se stessa, compresa l’affettività, in quello che fa, mentre il maschio mette impegni e atteggiamenti diversi. Il coach deve essere bravo a svolgere ruolo che con gli uomini non svolge, o svolge in maniera diversa. Poi c’è tutto l’aspetto condizionale e coordinativo. Adesso la ricerca è progredita e sappiamo come, quando e perché è meglio scegliere determinati periodi per alcuni lavori. Se un allenatore è professionista questi problemi se li pone e cerca di mettere in pratica quello che è meglio per l’atleta, che sia uomo o donna”.

Però ti ci è voluto del tempo per arrivare a queste conclusioni.
“Quando ho iniziato ad allenare avevo solo maschi perché negli anni ‘80 l’atletica siciliana dei salti era abbastanza povera. Poi è arrivata Simona a inizio anni 2000 e da lì ho cominciato a essere considerato un tecnico che allena le donne (ride, ndr). La difficoltà più grande che ho incontrato è stata la mancanza di pubblicazioni in fatto di atletica femminile. Ancora oggi non trovo risposte. Ad esempio: come ci si comporta con un’atleta che ha superato i 30 anni e rientra da una maternità? In termini di studi pubblicati, c’è pochissimo in giro per quanto riguarda le specialità di potenza”.


Perché secondo te ci sono così poche allenatrici donne?
“Forse perché mancano modelli di riferimento. Ma pensa per esempio a Kathy Sack, la mamma di Mattia Furlani, al lavoro straordinario che sta facendo come tecnico anche in quanto mamma. Le donne hanno dei punti di vista diversi da noi uomini, e secondo me unendo le forze possiamo completarci, ma vedo una presenza femminile tra i tecnici ancora molto bassa, magari ce ne fossero di più di allenatrici donne”.

E Simona La Mantia? Hai mai provato a convincerla a diventare allenatrice?
“Dopo il terzo figlio? (ride, ndr) No, ma le abbiamo proposto un ruolo dirigenziale all’interno del CUS Palermo e pare abbia accettato. Aspettiamo al campo sua figlia, invece, che pare abbia una struttura fisica molto simile alla mamma…”

Ti sei mai sentito penalizzato per il fatto di lavorare a Palermo?
“Per me non è mai stato un problema, anzi, una forza stare qua, perché abbiamo le condizioni climatiche ideali e abbiamo prodotto atleti di spessore. Sono cresciuto guardando Gaspare Polizzi, faro tecnico della nostra città e della nostra regione che ha reso Palermo uno dei centri del mezzofondo mondiale dove sono passati atleti che hanno vinto medaglie olimpiche. Io sto provando a fare la stessa cosa per quanto riguarda i salti in estensione e non so se ci riuscirò, ma non mi sono mai sentito e non mi sento isolato. Esistono dei limiti strutturali e non abbiamo i numeri dell’atletica che ci sono in Lombardia o in Veneto, certo, ma questi non possono diventare scuse per non fare qualcosa”.

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