Mondiali di cross, il back-to-back di Kiplimo e Chebet. L’Italia spettatrice dal divano

Strapotere Africa. I Campionati Mondiali di Cross, che si sono appena conclusi sui prati verdi di Belgrado, hanno confermato il dominio del Continente Nero nelle campestri. E non poteva essere altrimenti, dal momento che World Athletics consente la partecipazione di cinque atleti per Nazione.

Kenya + Etiopia + Uganda: si è corso per le posizioni di rincalzo in tutte le gare del programma iridato ed è stato già un successo per chi non indossasse uno di questi colori, far parte della top twenty. Così è accaduto nella prova femminile, dove la campionessa europea Grovdal, l’unica a staccare la nostra Nadia Battocletti in quel di Bruxelles, ha tagliato il traguardo proprio al 20° posto. Al maschile c’è il nono posto dello spagnolo Thierry Ndikumwenayo, che spagnolo di origini non è…

Scorrendo l’albo d’oro, per trovare un campione del mondo che non fosse africano di bandiera, bisogna risalire, tra gli uomini, al 2001, l’anno del bis di Mohammed Mourhit, marocchino naturalizzato belga. Lo stesso dicasi per le donne: nel 2007 vinse Lornah Kiplagat, keniana che correva per l’Olanda.


In Serbia, sul tetto del mondo delle prove senior, a un anno di distanza dall’edizione australe di Bathurst, ci sono ancora l’elegante ugandese Jacob Kiplimo e la keniana Beatrice Chebet.
Kiplimo ha regolato l’etiope Aregawi e il keniano Benson Kiplagat, mentre la Chebet si è imposta sulle connazionali Rangeruk e Kipkemboi.

Per la cronaca, tra gli under 20, ori a Samuel Kibathi (Kenya) e Marta Alamayo (Etiopia), mentre nella prova a squadre mista, dietro alle favoritissime Kenya ed Etiopia, si è piazzata la Gran Bretagna.

Ancora una volta il mondiale di cross impone almeno due riflessioni contenenti quesiti aperti al dibattito. La prima è di livello internazionale: tante Nazioni hanno disertato l’edizione di Belgrado e il presidente di World Athletics, Sebastian Coe, ha storto il naso. Eppure quanto visto stamani conferma che la disciplina è fin troppo prevedibile e ristretta inesorabilmente a tre-quattro Paesi africani sopra citati. Vincono sempre loro e in modo imbarazzante. Ma si può fare qualcosa per motivare anche gli altri?


La seconda è quella che ci interessa da vicino: l’Italia non è andata a Belgrado. Un paio di settimane fa, intervistando il responsabile del mezzofondo, Chicco Leporati, avevamo affrontato la questione. La Fidal non ha ritenuto opportuno puntare sui mondiali di cross per una serie di motivi.
Innanzitutto perché troppo in là con il calendario: il 30 marzo è già vigilia di esordi outdoor in una stagione ricca di eventi in pista. I mondiali di staffetta alle Bahamas, gli Europei di Roma e i Giochi Olimpici sono i pilastri del 2024 e i top atleti non possono distogliere l’attenzione da quanto avverrà in estate.

L’idea allora era quella di coinvolgere un gruppo di atleti più giovani che, a causa di una serie di problemi fisici, non avrebbero offerto garanzie sulla partecipazione. Iscriverli e poi rinunciare avrebbe avuto anche ripercussioni economiche (per le eventuali penali da pagare a World Athletics) e quindi non se n’è fatto più nulla.

Forse, non esserci del tutto, in Serbia, è stato un peccato, specie dopo aver assistito al bronzo britannico della staffetta. Al netto di tutte le scelte (anche comprensibili) dell’entourage azzurro. L’assenza tricolore chiama però in causa la programmazione di una specialità che in Italia evidentemente non è più centrale o non si riesce a mantenere centrale, nonostante la campestre sia pur sempre una delle prime porte d’accesso alla pratica dell’atletica.

Yeman Crippa. Foto Grana / Fidal.


La domanda è: ma non c’era davvero nessun under 20 da portare, giusto per fare un po’ d’esperienza, come per i pari età non africani? Peraltro Belgrado non è poi così lontana: anche a livello di costi non sarebbe di certo stato paragonabile al viaggio (anch’esso, e più a ragione, disertato) verso Bathurst.

Quanto ai senior, non bisognava di certo attendere i mondiali per capire che c’è qualcosa che non funziona a dovere. La debacle degli europei di Bruxelles aveva messo a nudo le carenze di un team azzurro, dove Battocletti a parte, gli altri atleti avevano la testa altrove (le maratone), trincerandosi anche dietro alla disabitudine a correre nel fango.

I tempi potrebbero allora essere maturi per iniziare a pensare a un nuovo progetto, che coinvolga gli atleti meno distratti dalla strada nei mesi invernali e perciò in grado di preparare gli eventi di cross con più dedizione e responsabilità.

Foto Getty Images per World Athletics

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