Camossi in Cina? Ecco come funziona l’atletica a Pechino

Girano da qualche mese voci insistenti di una partenza per la Cina di Paolo Camossi, ex allenatore dell’oro olimpico sui 100 metri di Tokyo 2020, Marcell Jacobs, oggi allenato da Rana Reider in Florida.

Nonostante la notizia non sia stata ancora confermata (o smentita) dal diretto interessato, e nonostante molto possa cambiare nelle prossime settimane (soprattutto considerato che l’incarico della presidenza della federazione cinese pare essere vacante), Camossi non sarebbe il primo allenatore straniero collaborare con Pechino.


Al contrario, negli ultimi anni diversi nomi prestigiosi sono stati scelti per seguire gli atleti cinesi, da Randy Huntington (allenatore, tra gli altri, di Mike Powell), a Damien Inocencio, (che ha seguito Renaud Lavillenie) ai tedeschi Uwe Hohn e Astrid Kumbernuss per i lanci, a Nelio Moura, tecnico brasiliano di salti in estensione tra i migliori in circolazione, solo per citarne alcuni. 

Per capire come funziona il sistema dell’atletica cinese abbiamo parlato con alcuni allenatori italiani che hanno lavorato o tuttora collaborano con la Chinese Athletic Association, il nome internazionale della federazione cinese.

“Intanto bisogna sapere che in Cina non esistono i club, le società di atletica, ma tutto fa capo a 33 province, che hanno una media 38-40 milioni di abitanti”, spiega Renato Canova, classe 1944, tra i massimi esperti mondiali delle lunghe distanze, che in Cina ha lavorato tra il 2013 e il 2015 come responsabile del mezzofondo, dagli 800 alla maratona.

Canova con l’ex allievo Moen.


“Se un ragazzino vuole fare atletica non può presentarsi al campo”. In Cina casomai è il contrario: “Si viene selezionati dagli allenatori in occasione dei campionati studenteschi e da lì si ha la possibilità di entrare a far parte delle scuole dello sport”, prosegue Canova, che passa gran parte dell’anno in Kenya con diversi campioni del mezzofondo. “A quel punto gli atleti ricevono uno stipendio, in modo simile a quello che succede con i nostri atleti quando entrano in un gruppo sportivo militare, solo che in Cina vengono pagati dalla federazione. Atleti e allenatori ricevono poi premi molto importanti in base ai piazzamenti ai National Games, le più importanti competizioni sportive nazionali che si tengono ogni quattro anni, in pratica delle Olimpiadi interne”. 

I migliori atleti all’interno delle province vengono poi inviati nei centri federali di rappresentanza. In uno di questi, a Pechino, ha lavorato Marco Airale, oggi giovane tecnico (ha solo 33 anni) di una decina di atleti internazionali di base a Padova. Da marzo a ottobre 2019 è stato al fianco di Randy Huntington in qualità di osteopata e fisioterapista, in vista dei mondiali di Doha: “Le province a livello amministrativo corrispondono grosso modo alle nostre regioni – spiega Airale – e ci mandavano gli atleti a Pechino”, anche se non tutte le province coprono tutte le specialità.

“Il grande vantaggio di questo sistema – continua Airale, che alla collaborazione con Huntington ne ha fatta seguire una con Rana Reider negli Stati Uniti – è la possibilità di poter lavorare con i migliori tecnici al mondo, ma Randy non aveva potere decisionale sugli atleti: di conseguenza alcuni ragazzi a volte ci venivano semplicemente tolti senza nessun tipo di comunicazione da parte delle province, e in questi casi non sapevamo più nulla. Finché gli atleti erano in forma potevano restare nel gruppo, se i risultati non erano soddisfacenti, venivano rispediti indietro. E questo ci impediva di poter fare dei lavori più lunghi con chi aveva bisogno di più tempo per maturare. Parliamo di due sistemi di fare atletica completamenti diversi, uno privato supportato da sponsor (quello statunitense), in cui l’atleta scegli il proprio tecnico, e uno federale e fortemente centralizzato (quello cinese) dove l’atleta è proprietà dello Stato”.


Anche se in anni recenti nulla ha impedito anche agli atleti cinesi di stipulare contratti di sponsorship: Su Bingtian, detentore del record asiatico nei 100 metri con 9”83, dopo le Olimpiadi di Tokyo 2020, in cui è arrivato sesto, non solo si è guadagnato il soprannome “orgoglio della Cina”, ma è diventato ambasciatore di nove marchi cinesi, tra cui il gigante dell’elettronica Xiaomi.

Questo sistema fortemente sbilanciato verso le province ha spesso incontrato le critiche anche di Sandro Damilano, tra i tecnici più titolati al mondo nella marcia, che con la Chinese Athletic Association collabora dal 2010 in qualità di capo settore: “Siccome gli allenatori ricevono incentivi sulla base delle prestazioni, gli atleti ottengono i risultati migliori a 15-16 anni. Una volta indirizzati alle varie specialità è come se vivessero in raduno per quasi tutto l’anno. Gli allenatori locali riescono a capire che per sviluppare le qualità di un atleta bisogna lavorare passo passo. Nel 2017, per esempio, mi è arrivata una ragazza che aveva vinto tutte le maggiori competizioni internazionali giovanili. Quando si è trattato di aumentare il chilometraggio, faticava, perché a livello fisico le avevano richiesto troppo, e ci ha messo tre a tornare ai vertici mondiali”.

La “ragazza”, è Ma Zhenxia, classe 1998, oggi seguita da Patrizio Parcesepe. Il 3 marzo ha vinto la 20 km di marcia del Chinese Race Walking Grand Prix, tenutasi a Taicang, con il tempo di 1:26:07. Per le stesse ragioni, gli atleti cinesi smettono molto presto: “Le donne perché si sposano, e in Cina la famiglia è ancora importantissima, ma tanti si stancano mentalmente, anche se ci sono delle eccezioni”.


Damilano ha chiesto la possibilità di portare i propri atleti in Italia, a Saluzzo, in provincia di Cuneo, dove fino al 2009 seguiva atleti italiani e cinesi: “Poi mi hanno dato l’aut aut proponendomi cifre che la federazione italiana non si sogna neanche lontanamente. Fare l’allenatore in Cina è una professione a tutti gli effetti. All’inizio sceglievo io gli atleti, e ho conquistato la loro totale fiducia quando sono riuscito a convincerli a darmi un atleta, Wang Zhen, che secondo loro non valeva granché. Il ragazzo poi ha vinto l’oro nella 20 km di marcia alle Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016”.

È in vista dei Giochi olimpici, ogni quattro anni, che vengono stipulati i contratti con i tecnici stranieri, che in Cina hanno sicuramente possibilità difficilmente riscontrabili altrove: “Non avrei mai avuto la possibilità di lavorare con alcuni degli atleti più forti a livello mondiale se fossi rimasto in Italia, dove per ambire a cariche alte spesso una buona preparazione e un buon curriculum non bastano”, ha detto Airale. 

Eppure restano una serie di difficoltà burocratiche e organizzative legate a un eccesso di ideologia. Canova è riuscito a riformare il sistema proponendo che fosse la federazione stessa a organizzare delle competizioni settoriali che avesse come fine il conseguimento di risultati tecnici, cosa che prima invece veniva gestita dall’Amministrazione generale dello sport, l’agenzia governativa responsabile dello sport nella Cina continentale.

“Una volta, per esempio, mi è capitato di dover seguire dei 10.000 alle 13 di pomeriggio con 43 gradi – ricorda – Oppure, gli atleti cinesi spesso non vengono lasciati viaggiare singolarmente perché devono muoversi come squadra, e una volta ho dovuto aspettare un gruppo di 25 corridori in Kenya per due mesi perché mancava un solo visto“. “O ancora – aggiunge il tecnico torinese – alcuni atleti infortunati sono stati costretti a operarsi ai tendini in Cina, quando tutte le federazioni del mondo mandano i propri atleti in Finlandia, perché si sa che lì sono i migliori”.


Negli ultimi anni anche la pandemia da covid-19 ha giocato la sua parte e portato il Paese a chiudersi, tant’è che, ha ricordato Damilano, alle Olimpiadi di Tokyo la Cina ha ottenuto i primi piazzamenti solo nei lanci. “È probabile che ai nuovi allenatori stranieri coinvolti venga richiesto di restare o andare più spesso in suolo cinese”, ha precisato Airale. “Dopo che tanti allenatori che collaboravano con la federazione cinese in questi anni non sono riusciti a rientrare”. 

Secondo Damilano, che nel suo lavoro è sempre stato seguito da assistant coach cinesi, i tecnici di Pechino devono ancora fare “un salto di mentalità”, ma non manca molto affinché siano indipendenti. Mentre per Canova “la Cina è costretta ad avere una forte impronta ideologica orientata al futuro, a differenza dei governi occidentali, concentrati sul presente e sulle scadenze elettive”.

Forse, allora, dopo i risultati deludenti alle Olimpiadi di Tokyo, saranno i piazzamenti di Parigi a decidere la sorte degli allenatori stranieri in Cina.

foto d’apertura Reuters

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