Prestazioni e controprestazioni: lo psicologo dello sport sempre più figura chiave. Ne parliamo con Federico Casu

Prestazioni e controprestazioni dettate spesso, non solo dalla condizione fisica, ma anche dalla testa, che può costituire alternativamente una molla per superarsi o un ostacolo che ti respinge. Sempre più atleti di tutti gli sport sono ormai seguiti da uno psicologo dello sport. E negli sport individuali, questa necessità sembra emergere ulteriormente: dal nuoto all’atletica, dal ciclismo al tennis, non ci sono eccezioni.

Abbiamo chiesto un parere a Federico Casu, giovane psicologo dello sport che anche in un recente post sul suo profilo Instagram dedicato all’argento di Leonardo Fabbri, ci ha ricordato quanto l’autoefficacia, la consapevolezza e la fiducia possano essere determinanti per plasmare le prestazioni sportive.

Federico Casu, psicologo dello sport.
Federico Casu, psicologo dello sport.



Federico, quanto è importante oggi un supporto psicologico?
“Direi imprescindibile. C’è sempre stato, ma oggi si fa più attenzione a questo aspetto. Lo psicologo dello sport è una figura inserita all’interno dello staff dell’atleta ed è fondamentale perché quando parliamo di prestazioni si va ben oltre quello che è in grado di dare il fisico”.

Cosa passa quotidianamente nella mente di un atleta?
“Ciascun atleta è sottoposto a una serie di stress, che sono differenti in base ai livelli di agonismo: un dilettante sopporta un certo tipo di pressione, magari deve gestire l’attività sportiva e il resto della vita, compreso il lavoro, e inevitabilmente le due sfere si contaminano. Un professionista si concentra più sulla gestione delle performance, le aspettative dei risultati, la pressione ricevute dai media. E in tutto questo, c’è una frase che proprio non sopporto”.

Prego.
Non può star male perché guadagna bene. Come se gli atleti non fossero persone ma supereroi. Prive di bisogni, paure, emozioni, tutto ciò che caratterizza un ragazzo o una ragazza normali”.

E’ un problema culturale, specie in Italia.
“Permangono pregiudizi e stereotipi. Per fortuna che oggi ci sono diverse campagne di sensibilizzazione. Ed è positivo che molti atleti parlino delle proprie esperienze, anche di chi è alle prese con ansia e depressione. Purtroppo da noi non esiste la cultura dell’errore. Non c’è la libertà di poter sbagliare (ricordate pochi giorni fa l’attacco sui social ricevuto da Ala Zoghlami dopo la mancata qualificazione nei 3000 siepi, ndr?). E molto lavoro si deve fare anche sui tecnici, che spesso fanno pesare all’atleta l’errore e lo condizionano. Manca una focalizzazione sulla cura della relazione con i propri allievi, perché poi si ritrovano da soli a rimuginare sulle controprestazioni e non riescono sempre a reagire in modo adeguato”.



Su cosa si concentra uno psicologo dello sport quando gli atleti chiedono una consulenza?
“Il primo step è la consapevolezza, capire a fondo le caratteristiche dell’atleta e dove vuole arrivare e cosa migliorare. Poi lo psicologo dello sport fa un lavoro sulla principale difficoltà emersa a livello psicologico e in terza battuta lavora per il benessere psicologico a 360°: la gestione delle emozioni, i cali di concentrazione, gli errori e la sensazione di sentirsi in qualche modo soli davanti al dovere di ottenere gli obiettivi. Ma ci sono anche tanti altri aspetti molto importanti”.

Ad esempio?
“Alcuni grandi atleti si smarriscono di fronte al primo errore o alla prima controprestazione. Altri si concentrano solo sui risultati che non arrivano, invece di dare valore al proprio percorso. C’è chi si autoimpone una severità smisurata. C’è la gestione degli infortuni o il fine carriera che si avvicina e la difficoltà di accettare le nuove leve che iniziano ad andare più forte di te. L’accettazione e la presa di coscienza, in generale, sono dei pilastri per il benessere psicologico”.

L’atletica è uno degli sport che non sfugge a questo tipo di considerazioni.
“E’ una di quelle discipline che non lascia spazio alle interpretazioni. C’è il tempo e ci sono le posizioni al traguardo. Valori incontrovertibili. In questi casi è fondamentale che l’atleta riconosca di aver fatto tutto quello che si poteva, che abbia raggiunto o lavorato bene per i propri obiettivi. Autostima e fiducia sono i processi determinanti per una predisposizione ottimale alle prestazioni agonistiche”.

Foto Grana / Fidal

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