Tendini e atleti (ultima parte): campanelli d’allarme, rientro alle gare, recidive

tendini, e in particolare il tendine d’Achille, sono strutture delicatissime quando si parla di atletica e, in particolar modo, dei saltatori.

Anche nell’ultimo periodo, gli infortuni di un certo rilievo non sono mancati. Basti pensare ai crac di Elena VallortigaraYulimar RojasMaria Vicente, Claudio StecchiDariya DerkachSveva GereviniOttavia Cestonaro

Nella prima puntata avevamo inquadrato da vicino la situazione dei saltatori con un attento occhio alla fase di prevenzione degli infortuni:

Nella seconda puntata del focus abbiamo scoperto le entità delle lesioni e i tempi di recupero:

Il nostro focus si conclude con il terzo e ultimo episodio, dove insieme ai ragazzi di Osteopathy Track&Field (Giacomo Consorti, Mattia Cella e Roksana Fard) andiamo a vedere come si arriva alla lesione e come si rientra alle competizioni dopo un lungo stop, con una finestra finale riservata al mondo del running.

Giacomo Consorti, Mattia Cella e Roksana Fard.


Ma esistono dei campanelli d’allarme prima di arrivare alla lesione? Quest’ultima è sempre preceduta da un’infiammazione?
“E’ una domanda che apre a un concetto molto importante: quello del continuum della tendinopatia, cioè il fatto che la degenerazione tendinea non è un evento improvviso, ma un processo che si sviluppa nel tempo e attraversa diverse fasi. Qui non parliamo dell’evento traumatico acuto che provoca una lesione “netta” in un tendine sano, ma dei casi più frequenti nello sport, cioè le tendinopatie da sovraccarico cronico, che nel tempo possono portare a una lesione”.

Come possiamo classificarle?
“Le fasi principali sono tre. La prima è la tendinopatia reattiva, che è una risposta cellulare non infiammatoria a un sovraccarico meccanico acuto, sia in trazione che in compressione. Si manifesta con un ispessimento del tendine, visibile anche agli esami di imaging, ma può essere reversibile se si riduce il carico e si rispetta il tempo fisiologico di recupero. Se invece lo stimolo nocivo persiste, si entra nella fase di disrepair, cioè la fase di “non riparazione”, in cui si osserva una disorganizzazione crescente della matrice, aumento della vascolarizzazione, comparsa di cellule in metaplasia condrocitica e alterazione delle fibre collagene. In questa fase, la componente infiammatoria è più marcata”.

E infine?
“Si può arrivare alla tendinopatia degenerativa, dove il tendine presenta aree necrotiche, alterazioni irreversibili e porzioni praticamente acellulari, con minima capacità di adattamento o recupero. Da qui, il rischio di lesione è più elevato. In realtà, anche se per comodità le descriviamo come fasi distinte, nello stesso tendine possiamo trovare contemporaneamente porzioni in fasi diverse: ad esempio, la parte più superficiale in fase reattiva e quella più profonda già degenerata”.


Quali sono i segnali da tenere in considerazione?
“Possiamo identificarne tre: dolore, funzione alterata e degenerazione strutturale del tessuto. Il dolore è ovviamente il più facile da percepire, ma non sempre è presente. La funzione alterata – cioè una minore reattività o una perdita di “elasticità” del tendine – è osservabile sia dall’atleta (se è molto sensibile al proprio corpo), sia con test specifici come lo stiffness test o altre valutazioni strumentali. La degenerazione, invece, può essere valutata solo tramite esami di imaging (ecografia, ecodoppler, risonanza magnetica), ma non sempre si accompagna a dolore o perdita di performance”.

L’atleta come può gestirli?
“I tre segnali purtroppo non viaggiano sempre insieme. Nella maggior parte dei casi, quando sono presenti sia dolore che funzione ridotta, è difficile che il tendine arrivi a lesione, perché l’atleta – anche solo per protezione – tende a non forzare, o non è nemmeno in grado di generare abbastanza carico. Il vero rischio arriva quando il dolore si riduce o scompare, la funzione sembra tornata nella norma, ma la struttura del tendine non è ancora riorganizzata, cioè la degenerazione è ancora presente. È in questi casi che, soprattutto se si forza il ritorno in pista o si anticipano i tempi di carico ad alta intensità, si può arrivare a una lesione acuta su un tendine che, morfologicamente, è ancora compromesso. Un esempio emblematico è quello dell’eptatleta spagnola María Vicente, che si è lesionata il tendine d’Achille durante la rincorsa del salto in alto, subito dopo aver vinto i 60 ostacoli (ai mondiali indoor di Glasgow 2024 e fresca di rientro alle gare, ndr). Evidentemente, non c’erano segni evidenti di dolore o calo di funzione, eppure la struttura era in una condizione che non ha retto il carico”.

Ma quando si ritorna a saltare, è tutto come prima o l’atleta comunque sarà più soggetto a riavere una lesione in quel tendine?
“Il ritorno all’attività sportiva dopo una tendinopatia non equivale automaticamente a una situazione “come prima”. Anche quando la ripresa è stata completata correttamente, il rischio di recidiva non è trascurabile, soprattutto se il rientro avviene in modo affrettato o senza un monitoraggio accurato. Alcuni studi mostrano che, ad esempio nei casi di tendinopatia achillea, i tassi di recidiva possono arrivare fino al 40%, con un’incidenza più alta nei soggetti che hanno ripreso i carichi di allenamento standard in meno di dieci giorni. Questo ci dice chiaramente che l’assenza di sintomi non coincide necessariamente con un recupero completo della funzione tendinea, e che possono persistere deficit strutturali o di tolleranza al carico. Per questo, la decisione di tornare a saltare dev’essere basata su criteri oggettivi: non solo il dolore, ma anche la capacità del tendine di sostenere gli stress specifici della disciplina. Il rientro deve essere graduale, progressivo e ben programmato in concerto con l’intero team, con una gestione attenta del carico e dei tempi, perché è proprio in questa fase che si gioca una fetta importante della prevenzione delle recidive”.

Rebecca Lonedo alla mezza maratona di Siviglia del 2024.


I runner sono più soggetti a infiammazioni o a lesioni? Conta più saper correre o indossare le scarpe giuste per evitare problemi?
“Nel contesto della corsa, i runner sono generalmente più soggetti a tendinopatie da sovraccarico piuttosto che a lesioni tendinee acute. Questo perché il gesto tecnico della corsa, sebbene ripetuto migliaia di volte, raramente produce un carico acuto sufficiente da provocare una lesione su un tendine sano. Le lesioni, quando si verificano, sono spesso il risultato finale di una degenerazione preesistente, mal gestita nel tempo. In questo senso, la corretta gestione del carico, la qualità del gesto tecnico e la capacità di interpretare i segnali del corpo sono elementi centrali nella prevenzione. La tecnica di corsa, la frequenza degli allenamenti, il volume settimanale, la progressione dei carichi e soprattutto le attività di condizionamento in palestra e la gestione dei recuperi sono i fattori principali che determinano lo stato di salute dei tendini”. 

Quali differenze comporta il tipo di appoggio?
“Attualmente, non esistono evidenze scientifiche conclusive che indichino un tipo di contatto del piede al suolo preferibile rispetto ad altri in termini di prevenzione degli infortuni. Tuttavia, è fondamentale considerare che qualsiasi schema di appoggio comporta un carico meccanico differente sulle varie strutture muscoloscheletriche. Nello specifico, l’attacco al terreno di avampiede tende a sovraccaricare maggiormente le strutture del piede e del comparto surale mentre, di retro-piede, determina un maggiore stress a carico dell’articolazione del ginocchio e dell’anca. Pertanto, in presenza di specifiche condizioni cliniche, può risultare opportuno considerare una modifica del tipo di appoggio del piede. Tale intervento dovrebbe essere preceduto da un’analisi biomeccanica completa, che includa l’esame di altri fattori potenzialmente rilevanti”.

E le scarpe?
“Le calzature hanno sicuramente un ruolo importante, ma sono un fattore secondario, che va contestualizzato all’interno di un quadro biomeccanico più ampio. Per quanto concerne la scelta della calzatura, in presenza di tendinopatie a carico del tendine d’Achille è generalmente consigliato l’utilizzo di scarpe con un drop maggiore. Anche in questo caso, prima di intervenire sulla calzatura, è preferibile valutare ed eventualmente modificare quei fattori predisponenti sopra descritti che possono contribuire al mantenimento della sintomatologia o alla cronicizzazione della condizione”.

Rileggi la prima puntata sui tendini
Rileggi la seconda puntata sui tendini

Potrebbe interessarti anche...

Gli articoli di questo autore

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *