Tendini e atleti (seconda parte): entità della lesione e tempi di recupero

tendini, e in particolare il tendine d’Achille, sono strutture delicatissime quando si parla di atletica e, in particolar modo, dei saltatori.

Anche nell’ultimo periodo, gli infortuni di un certo rilievo non sono mancati. Basti pensare ai crac di Elena VallortigaraYulimar RojasClaudio StecchiDariya DerkachSveva GereviniOttavia Cestonaro

Nella prima puntata avevamo inquadrato da vicino la situazione dei saltatori con un attento occhio alla fase di prevenzione degli infortuni:

Nella seconda puntata del focus scopriamo quando si deve necessariamente intervenire e i tempi di recupero, sempre insieme ai ragazzi di Track&Field: Giacomo Consorti, Mattia Cella e Roksana Fard.

Quando una lesione necessita dell’intervento?
“Non tutte le lesioni tendinee acute richiedono automaticamente un intervento chirurgico: la decisione dipende da una serie di fattori, tra cui l’entità della lesione, la sede anatomica coinvolta, le caratteristiche del tessuto e – aspetto tutt’altro che secondario – il livello e le esigenze dell’atleta. In linea generale, le lesioni parziali di entità lieve o moderata possono essere affrontate con un percorso conservativo, che prevede una progressione ben strutturata di esercizio terapeutico, rinforzo e rieducazione funzionale”.

Negli altri casi?
“Quando la lesione è estesa, come accade nei casi di terzo grado che non rispondono positivamente al trattamento conservativo, o se si tratta di una lesione completa (quarto grado secondo la classificazione BAMIC), l’intervento chirurgico diventa la scelta preferenziale, se non obbligata. In questi casi, infatti, è necessario ristabilire la continuità anatomica del tendine prima di avviare qualsiasi protocollo di ritorno all’attività efficace. È importante ricordare che la chirurgia può essere indicata anche in lesioni meno gravi, se l’atleta è di alto livello e ha necessità di rientrare in tempi contenuti, riducendo il margine d’incertezza legato alla guarigione spontanea. La valutazione, quindi, non si basa solo sui centimetri della lesione, ma su un insieme più ampio di considerazioni cliniche, funzionali e sportive. Il recupero post-chirurgico richiede tempo e attenzione, con una fase iniziale di protezione seguita da un graduale ritorno alla piena funzionalità, che può richiedere anche diversi mesi”.

Di quanto tempo stiamo parlando?
“Nel caso delle tendinopatie, i tempi di recupero dipendono dal grado di coinvolgimento del tessuto e da come l’atleta risponde agli stimoli, ma possiamo comunque identificare una progressione a quattro fasi, che ci aiuta a strutturare il percorso. La prima fase è quella isometrica, utile per iniziare a stimolare il tendine in sicurezza, anche in presenza di dolore. Essendo una fase ben tollerata, può essere proposta con alta frequenza, anche quotidianamente, e grazie a questo possiamo porci l’obiettivo di mantenerla il più breve possibile, in genere tra le 2 e le 4 settimane”.

La seconda?
“E’ quella di heavy slow resistance, in cui si iniziano a introdurre carichi più importanti, movimenti controllati e su full range. Questa è una fase più impegnativa per il tendine e solitamente ha una durata indicativa di 4–6 settimane, variabile in base alla risposta clinica e alla qualità esecutiva”.


E poi?
“La terza fase, dedicata alla force absorption, segna il passaggio verso stimoli più dinamici: qui si abitua il tendine a ricevere forze elevate in maniera controllata. Infine, la quarta fase, di restitution, prevede il lavoro sulla restituzione elastica dell’energia, quindi stimoli ad alta velocità e alta intensità. Le ultime due fasi, absorption e restitution, possono essere considerate un blocco funzionale unico da circa 4–6 settimane in totale, il cui equilibrio dipende molto dalla disciplina dell’atleta, dal suo livello e da come tollera gli stimoli. In sintesi, quindi, un percorso ben strutturato di recupero da una tendinopatia può durare complessivamente tra le 10 e le 16 settimane, ma con flessibilità individuale in base a progressione, carichi e risposta al trattamento. Durante questo percorso, in alcuni casi selezionati, il team sanitario può decidere di associare onde d’urto focali“.

In cosa consistono?
“Si tratta di un trattamento strumentale che ha mostrato buoni risultati soprattutto nei casi di tendinopatie inserzionali e resistenti. Le onde d’urto focali agiscono stimolando un processo di rimodellamento tissutale, favorendo la neovascolarizzazione locale e la rigenerazione dei tessuti degenerati. Non sono un sostituto dell’esercizio terapeutico, ma possono essere un valido supporto nelle fasi iniziali del trattamento, in particolare per ridurre la sintomatologia e creare un contesto biologico più favorevole al carico meccanico”.


Le lesioni acute impongono invece dei processi completamente diversi…
“Nel caso delle lesioni tendinee acute, invece, il percorso di ripresa segue ovviamente logiche differenti, poiché ci troviamo di fronte a un danno strutturale improvviso, spesso traumatico, che può variare da una lesione parziale a una completa del tendine. La gravità della lesione – classificabile secondo il sistema BAMIC in quattro gradi – rappresenta il primo elemento discriminante per decidere l’approccio terapeutico. Le lesioni di secondo grado, che coinvolgono una porzione limitata delle fibre tendinee, vengono generalmente trattate in modo conservativo, attraverso un protocollo di recupero che prevede una fase iniziale di scarico, seguita da una progressione di carico controllato e lavoro specifico, simile per struttura – ma non per tempi – a quello delle tendinopatie. Il recupero, in questi casi, può richiedere da 4 a 8 settimane. Nelle lesioni di terzo grado, dove la lesione è più estesa ma non completa, il trattamento conservativo viene inizialmente tentato, ma se i progressi sono lenti o insoddisfacenti, si valuta l’intervento chirurgico. Le lesioni di quarto grado, cioè quelle con lesione completa del tendine, sono invece di competenza chirurgica. Anche in questo caso, il ritorno allo sport non è mai immediato: si procede per fasi, con una progressiva esposizione al carico e una particolare attenzione alla qualità del gesto tecnico. I tempi variano dai 3 ai 6 mesi, con margini più ampi nei casi più complessi. L’obiettivo rimane sempre quello di restituire al tendine non solo la continuità anatomica, ma anche la capacità di assorbire e restituire energia in modo efficiente, come richiesto nei salti. A differenza delle tendinopatie, dove il focus è sull’adattamento graduale del tessuto a stimoli progressivi, nelle lesioni acute si parte da una condizione di discontinuità strutturale, che impone tempi biologici minimi di guarigione e un monitoraggio più stretto nella fase di carico. Ogni programma di ritorno all’attività deve quindi essere personalizzato, adattandosi non solo alla gravità della lesione, ma anche alla risposta del tessuto, al gesto tecnico richiesto e ai tempi realistici di recupero dell’atleta”.

foto Grana / Fidal

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