Il secondo trionfo consecutivo in Coppa Europa ha ormai lasciato spazio alle riflessioni e ai bilanci. L’atletica italiana, sul campo, sta benone e a Madrid ha dato una dimostrazione di solidità e livellamento verso l’alto senza precedenti. Ci siamo quasi dappertutto. Con diverse carte da giocare e i giovani, da Sioli a Saraceni, che fanno a spallate per conquistarsi lo spazio che meritano.
Non mancano però, almeno in chiave mondiali di Tokyo, le preoccupazioni. Che riguardano in primis il settore della velocità maschile. La staffetta 4×100 è stata ridotta ai minimi termini, falcidiata da assenze di lusso e infortuni. L’ultimo in ordine cronologico quello di Lorenzo Patta, capace di raccogliere al traguardo un punto simbolico dopo uno scatto promettente seguito da un k.o. muscolare.
Il momento no è solo frutto della sfortuna?
Sappiamo che fare lo sprinter non è mai stato un mestiere privo di inconvenienti. Le fasce muscolari, sottoposte a sforzi estremi, prima o poi il conto te lo presentano. Alzi la mano chi conosce un velocista che non è mai stato infortunato. Certo, le ultime stagioni, per le nostre frecce sono state piuttosto complicate…
Ceccarelli, dopo l’esplosione del 2023, non si è più ritrovato. Rigali ha un ginocchio che fa le bizze. Melluzzo, una delle grandi new entry nel team, ha finito per operarsi. Simonelli, che di norma fa l’ostacolista, è rimasto per tutto l’inverno ai box. Se dovessimo considerare anche il settore femminile, l’elenco proseguirebbe: Fontana, Pavese e Kaddari nel 2024 sparirono dai radar dei grandi eventi. E quest’anno, a faticare più del dovuto dopo il super segmento indoor, è stata la Dosso.

Insomma, si salvano in pochi, ma è bene ricordare che passano tutti da mani diverse (i loro allenatori) ma comunque competenti. Ogni atleta è un microcosmo, non esiste una ricetta valida per tutti. Come risulta difficile puntare il dito su questa o quella preparazione, su questa o quella metodologia.
Dalle pagine della Gazzetta, Stefano Tilli ha invocato un maggior coinvolgimento della struttura centrale nella gestione degli sprinter. Iniziativa di per sé lodevole, ma ci chiediamo: in questi anni possibile che non ci sia stato il contatto (e il confronto) tra i tecnici personali dei big e la direzione tecnica?
Il caso degli “americani” Jacobs e Ali
Addentrandosi nel discorso degli sprinter azzurri, arriviamo alle due punte, quelle che corrono sotto i 10“: Marcell Jacobs e Chituru Ali, entrambi in America. Entrambi veloci. Entrambi, da sempre, fragili.
Cominciamo dal secondo: dopo un 2024 da 9″96 con l’argento europeo, il comasco ha deciso di cambiare aria e di ricalcare il percorso che aveva fatto l’anno prima Marcell. Gli Usa, anche se la sponda Ovest, direzione Los Angeles per abbracciare il guru John Smith.

Ali ha cominciato tardi la preparazione, ha dedicato tempo e pensieri alla paternità, e si è visto solo nello sprint funesto del Golden Gala in cui si è rialzato in vista del traguardo. Ha rinunciato a Turku e alla Coppa Europa per dei problemi ai tendini che lo attanagliano dall’inizio della stagione.
Anche Jacobs non se la passa bene nel suo secondo anno a stelle e strisce. L’infortunio a febbraio, il lento recupero, i ritardi nella preparazione palesati a Turku (10″44), la successiva ricalendarizzazione degli impegni e le voci dalla Francia su un nuovo infortunio muscolare.
Che qualcosa non stia andando per il verso giusto non ci sono dubbi. Ma il problema è vivere negli Usa come dice Tilli? Jacobs e Ali dovrebbero tornare subito in Italia per rifiorire? Non siamo d’accordo.
Il problema di fondo è che sia Jacobs che Ali sono due atleti strutturalmente molto delicati. La loro storia, ahinoi, è piena di stop: entrambi convivono con dei muscoli delicatissimi, mai messi del tutto a tacere.
Nonostante i guai, Jacobs ha costruito una carriera impeccabile, grazie ai lampi delle grandi occasioni: Tokyo, Belgrado, Monaco di Baviera, Roma. Convivendo con gli acciacchi, presenti anche quando si allenava nella Capitale con Camossi.

Le sue apparizioni ai meeting sono state sempre centellinate. Ed è per questo che uno come lui (e altre decine di sprinter) magari potrà mai godere della stessa popolarità e ricevere la stessa attenzione mediatica che si ha per un tennista, prendiamo il caso di Sinner.
Vedere all’opera un’atleta 4 o 5 volte in tutto l’anno non è la stessa cosa di poter ammirare un campione giocare (eh sì, il tennis è un gioco e parte per questo già in vantaggio) decine di tornei, apparire in tv per un paio d’ore almeno a giorni alterni.
L’anno del suo trasferimento in Florida alla corte di Rana Reider, Jacobs è però tornato ai livelli del 2021, con il 9″85 della finale di Parigi secondo solo all’exploit dell’oro olimpico.
Anche Ali è inciampato di frequente nei suoi muscoli quando si allenava all’Infernetto con Claudio Licciardello (vedi un intero 2023 in cui passò il tempo a revisionare per intero il suo motore). Diamogli il tempo di adattarsi alla nuova realtà. Forse è troppo presto per dire che ha sbagliato a lasciare Roma.

Anche perché c’è chi dall’Italia non se n’è mai andato, come Filippo Tortu. Rimasto sotto la gestione delle origini, quella di papà Salvino, molto vicino e a contatto con i quadri federali. Eppure, Pippo il formidabile uomo squadra nelle staffette, le vette di un tempo non le ha più raggiunte. E di lui si è detto l’inverso, si è parlato di nuove scelte, di un possibile passaggio in Florida, di metodologie e allenamenti (italiani) poco adeguati.
Far rientrare Jacobs e Ali in Italia non aumenterebbe il numero delle loro apparizioni nei meeting. Nel caso di Marcell, il 2024 ha parlato chiaro: andando negli Usa è tornato competitivo, in vetta all’Europa e quinto al mondo. Tornare nella città dalla quale è scappato per trovare una nuova serenità non avrebbe senso in questo momento. Nel caso di Ali, bisogna aspettare prima di tirare le somme. Il ragazzo è fuori da un paio di mesi e Smith non è l’ultimo arrivato.
Siamo però d’accordo con Tilli quando dice, probabilmente nel tentativo di svolgere al meglio il nuovo incarico di consulente del d.t. La Torre, che gli sprinter azzurri (probabilmente riferendosi agli americani) farebbero bene a non isolarsi del tutto e quantomeno a rispondere al telefono per dare notizie, aggiornamenti e dialogare di più con la federazione.
foto Grana / Fidal