Nadia Battocletti ai mondiali di Tokyo insidierà ancora le africane: parola di Roberta Brunet

Il talento di Nadia Battocletti ai mondiali di Tokyo incarnerà le speranze azzurre di medaglia nel mezzofondo. L’allieva di papà Giuliano è la leader incontrastata di un settore che alle sue spalle registra comunque notevoli progressi sia nel “veloce” che nel “prolungato”, soprattutto in campo femminile.

Ce la farà la campionessa trentina, colei che difficilmente fallisce un obiettivo, a tener testa ancora una volta alle africane e a replicare l’exploit delle Olimpiadi, quando arrivò quarta nei 5000 e seconda nei 10.000 metri?

Straordinadia, che quest’anno si è migliorata nei 1500 (3’58″15 a Rovereto) e ha aggiornato i nuovi primati italiani nei 3000 (a Rabat, 8’26″27) e nei 5000 (al Golden Gala, 14’23″15), avrà al suo fianco una grande platea di fan e tra questi anche una tifosa speciale come Roberta Brunet, il bronzo olimpico di Atlanta 1996 alla quale Nadia aveva strappato nel 2023 un primato nei 5000 capace di resistere 27 anni.


Roberta, qual è la caratteristica che più apprezzi di Nadia Battocletti?
“Mi colpisce la sua naturalezza. A vederla dall’esterno, ha un modo di correre, uno stile e un’impostazione tecnica che sembra gli venga tutto facile. E’ davvero un grandissimo talento che fa da apripista ad altre ragazze molto valide. Penso a Coiro, Zenoni, Sabbatini, Cavalli… dagli 800 ai 10.000 siamo coperti”.

Di fatto, se consideriamo il prolungato, è la tua erede.
“Non potevo desiderare miglior passaggio di testimone. Dopo la mia impresa del ’96, lei dopo 28 anni ha riscritto la storia. Chi sale sul podio alle Olimpiadi entra nella leggenda. Io ci credo sempre di più man mano che passa il tempo”.

Il mezzofondo azzurro è finalmente rinato.
“Ho pensato che dalla medaglia di bronzo di Paola Pigni a Monaco 1972 all’oro di Gabriella Dorio, sempre nei 1500, a Los Angeles 1984 sono passati 12 anni. Poi altri 12 per il mio bronzo ad Atlanta nei 5000. Poi è arrivata Nadia nei 10.000, ancora una distanza diversa. Abbiamo dovuto aspettare 28 anni, ma l’Italia a livello storico può andare fiera del mezzofondo femminile”.

Perché la storia nell’atletica si fa soprattutto alle Olimpiadi, no?
“I record sono fatti per battere. E non si possono fare paragoni tra epoche diverse. Pista, metodologie di allenamento, scarpe, equipe a supporto. Tutto è cambiato. Ma le medaglie no, nessuno te le porta via”.

Nadia Battocletti argento a Parigi.


Pensi che anche la Battocletti ai mondiali di Tokyo potrà di nuovo dare filo da torcere alle africane come accaduto ai Giochi di Parigi?
“Sì, ormai è entrata in quella dimensione. Parigi è stato solo un assaggio di quello che ci farà vedere da qui in avanti. Credo che anche ai mondiali non fallirà il suo obiettivo. L’ho vista correre molto bene al Golden Gala, penso che lì abbia proprio preso le misure alle avversarie”.

Hai avuto modo di sentirla negli ultimi tempi?
“Non ho ancora avuto il piacere di conoscerla di persona, ma sono sicuro che verrà quel giorno prima o poi. L’ho chiamata il giorno dopo che mi ha sfilato il primato italiano dei 5000 metri a Londra, due anni fa. Non potevo esimermi dal congratularmi con lei”.

Quel 14’41″30 è poi stato abbassato di quasi venti secondi.
“E’ un’atleta straordinaria e si migliorerà ancora. Come dicevo prima, è impossibile fare paragoni. Agli atleti di oggi invidio la possibilità di essere circondati da uno staff completo, fatto da fisioterapista, mental coach e nutrizionista che affiancano l’allenatore e pensano a controllare tutti i parametri in modo tale che siano sempre a posto. Ai miei tempi, il tecnico era un’unica figura “multipla”, oggi siamo nell’era della specializzazione e questo porta dei vantaggi inevitabili”.

Cosa fa oggi Roberta Brunet?
“Sono un’agente del Corpo Forestale che lavora in ufficio nei pressi di Aosta. Facendo parte di una regione a statuto speciale, non sono passata ai Carabinieri. Mi occupo di ordine pubblico e sicurezza in filo diretto con la Questura e spesso sono in giro con il gonfalone della Val d’Aosta a varie manifestazioni di rappresentanza”.


E l’atletica?
“Mi sono ritirata a 40 anni, quando mia figlia Dominique ne aveva 10. Mi sono dedicata al lavoro e alla famiglia. Seguo l’atletica, di persona purtroppo poche volte a causa dei tanti impegni, quest’anno sono riuscita a fare una “toccata e fuga” al Golden Gala. Però annoto sul calendario i grandi avvenimenti, quelli non posso perderli. In stanza, non vola una mosca, soprattutto quando ci sono le Olimpiadi. Mi sento ancora lì, respiro le fatiche, le gioie, i pianti degli atleti. Provo tutte le loro emozioni, è bellissimo partecipare anche a distanza, solo chi ha vissuto certe esperienze (4 edizioni dei Giochi, ma anche 3 mondiali e 3 europei per lei in carriera, ndr) può capirlo. Ogni quattro anni è come ripassare i ricordi”.

E a livello personale, neanche una corsetta?
“Sì, ogni tanto esco a correre. Giusto per non perdere l’abitudine e non arrugginire”.

Tornando ai ricordi, cosa accadde quel giorno ad Atlanta?
“Che ho toccato prima l’Inferno e poi il Paradiso. All’ultimo chilometro non ne avevo più. La cinese Wang Junxia prese il largo e anche la keniana Konga si staccò per l’argento. Dietro eravamo rimaste io e Paula Radcliffe. Ciascuno di noi stava in piedi per inerzia, lo capivamo dal fiato. Nessuno era in grado di andar via, solo una però sarebbe andata a podio. Ho cercato di stringere i denti, sapevo che se fossimo arrivate insieme sul rettilineo l’avrei battuta. Quindi speravo solo che non mi staccasse in quegli ultimi due giri e mezzo”.


E poi cosa successe?
“Arrivammo all’ultimo giro. Che di solito risuscita anche i morti. Ho pensato alle parole del mio allenatore, Oscar Barletta: “O giochi d’anticipo prima del suono della campana o posticipi l’attacco. Ho imboccato la prima curva con decisione e la convinzione di farcela. E poi dopo il penultimo rettilineo sono partita. Ai 120 metri posso dire di aver visto la luce del Paradiso”.

Quel bronzo arrivò pochi mesi dopo essere diventata mamma.
“Mia figlia ha festeggiato trent’anni il 17 agosto. E’ nata nel 1995. Dieci mesi dopo, il 28 luglio del ’96, sono salita sul podio olimpico dei 5000. Quel riposo per la maternità fu rigenerante. Al resto ci pensò Barletta. In inverno mi propose di allungare sui 5000, distanza che per le donne debuttava a livello olimpico. Gli diedi del matto, per me i 3000 bastavano e avanzavano. Lui invece avrà pensato: “Più la faccio faticare e più va bene”. Ci aveva visto lungo…”.

Tanti ricordi ti legano a Oscar Barletta, scomparso nel 2012, e all’attuale presidente della Fidal, Stefano Mei.
“Oscar e Federico Leporati, l’allenatore di Stefano, avevano un’intesa speciale. Credevano nello sport puro e di sacrificio. Nei valori più profondi. Io e Mei, che abbiamo fatto carriera insieme, eravamo i pupilli di Barletta. Ne approfitto per congratularmi con Stefano, sono contenta di come si è approcciato alla guida della Fidal e del posto in cui è riuscito a portare l’atletica italiana in questi anni. Anche Oscar lo starà applaudendo dall’alto”.

foto Grana / Fidal

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