La stagione non è ancora finita. Domani ci sarà un’altra fatica da passare, nel canonico appuntamento del Trofeo Vanoni di Morbegno dedicato alle staffette, alla quale prenderà parte sui sentieri di casa insieme a Beatrice Bianchi. Uno degli ultimi sforzi per Alice Gaggi, prima di mandare in soffitta un 2025 ricco di esperienze, che l’ha vista, da veterana della disciplina, vestirsi ancora d’azzurro ai Mondiali di Canfranc e risultare la migliore italiana nella classifica generale del Golden Trail World Series con il nono posto acciuffato nel Grand Finale di Ledro.
Alice, è andata come ti aspettavi?
“Venivo da due buone prove in stagione e una più tribolata alla Sierre-Zinal dovuta a un momento di calo fisico. Sapeva che nell’ultima tappa si poteva ribaltare tutto, io sono contenta di essere riuscita a rosicchiare qualcosa e a chiudere nella top ten”.
Poche settimane prima della Ledro Sky c’erano stati i mondiali sui Pirenei.
“Il percorso era veloce e filante, come piace a me. E’ andata piuttosto bene (19esima al traguardo nel trail corto, ndr) so di non poter più combattere per le primissime posizioni. Porto a casa un’altra esperienza bellissima con la maglia azzurra, dove si è circondati sempre da un ambiente molto stimolante”.
Quest’anno per te c’è stata anche la prima esperienza alla Broken Arrow Sky Race, in California.
“La Golden Series è stata mondializzata negli ultimi anni e dopo l’esordio del Giappone nel 2024 è arrivata anche la tappa americana. E’ stata una gara impegnativa, che richiede tante energie per la lunga trasferta. Il viaggio è stato bellissimo, anche se stavolta, da mamma, me lo sono goduto un po’ meno perché la voglia di tornare a casa era tanta. Il percorso della Broken Arrow è davvero affascinante, con questa parte veloce nel bosco in mezzo a sequoie immense e il finale dove ti arrampichi sulle piste da sci (a Palisades Tahoe è arrivata nelle ultime stagioni anche la Coppa del mondo di sci alpino, ndr).

Sei un’atleta del Team Elite di Brooks: quali scarpe hai utilizzato quest’anno?
“Per le gare di lunghezza media indosso le Catamount 4, una scarpa molto versatile che consiglierei a chiunque voglia praticare la corsa in montagna. E’ un prodotto jolly, va bene su tutto, anche sul breve. E’ reattiva ma ha un ottimo sistema di ammortizzazione fino a 45 km”.
E poi?
“Per le gare più brevi ho utilizzato le Catamount Agil, essenziali e con un’ottima stabilità. Adesso sto prendendo sempre più confidenza con le Cascadia Elite, le ultime arrivate. Le ho già provate e sono incredibili perché coesistono due scarpe in una, una morbida e protettiva e l’altra estremamente reattiva”.
Il tuo terreno di caccia preferito, con l’avanzare degli anni, è sempre lo stesso?
“Ho sempre amato salita e discesa, quindi i percorsi classici, mentre non mi trovo particolarmente a mio agio nelle gare di sola salita o addirittura nei chilometri verticali. In discesa, sebbene ci si trova di fronte a sentieri duri e impegnativi, mi piace far sfogare i cavalli e lasciarmi andare”.
E le distanze?
“Non sono mai stata una veloce, figuriamoci ora che ho 38 anni dove dovrei forse pensare di allungare. Diciamo che per adesso va bene restare sempre intorno a gare da 20 km”.
Le prossime sfide?
“Nei miei progetti c’è una maratona su strada. Finora mi sono spinta fino alla mezza, che fa parte del mio programma invernale, l’anno scorso ho corso a Barcellona. Adesso vorrei ritagliarmi del tempo per correre di più in pianura”.

E il trail? Non è che stai pensando al ritiro?
“So che ogni anno che passa i miei tempi saranno sempre più alti ma non ho ancora intenzione di smettere. Finché il fisico regge e io mi diverto, andrò avanti”.
Com’e il trail running oggi, tu che lo hai visto evolversi in un lungo lasso di tempo?
“L’interesse è cresciuto, a questo sport si stanno avvicinando tante persone e sembra essere un ottimo periodo anche per le aziende di scarpe e abbigliamento specifico. Permane però qualche divisione interna che rende difficile dall’esterno far capire il nostro sport”.
Troppi circuiti, troppi format?
“Sì, ci sono troppe distinzioni anche a livello di chilometraggio e dal punto di vista tecnico, di classificazione delle gare. Purtroppo a prevalere sono spesso gli interessi personali, invece sarebbe bello unificare e uniformare il più possibile la disciplina. Sarebbe più comprensibile a tutti e gli atleti non sarebbero obbligati a dividersi su più circuiti”.
foto in copertina di Francesco Bergamaschi

