Pietro Arese e il 3’45” di Dessau: rientro in salita ma nessun allarmismo

Pietro Arese è rimasto ai box per tutto l’inverno. Poco prima di Natale ha cominciato a soffrire di una tendinopatia al tendine d’Achille della gamba destra: niente indoor, niente europei di Apeldoorn né mondiali di Nanchino.

L’allievo di Silvano Danzi, nello scorso fine settimana, è sceso in pista al meeting di Dessau e sebbene non corresse un 1500 dalla storica finale olimpica di Parigi in cui era arrivato ottavo aggiornando il record italiano a 3’30″74, non poteva di certo pensare che il suo rientro coincidesse con un altissimo 3’45″15.

Il portacolori delle Fiamme Gialle è subito rientrato a casa a Varese. Nessun allarme, sia chiaro. Ma sono giorni di analisi e riflessioni per sfruttare al meglio i prossimi blocchi di lavoro e cominciare a limare secondi.

Pietro, come te l’immaginavi la gara di sabato?
“Speravo in qualcosa di meglio. Io e il mio allenatore c’eravamo prefissati di stare sotto i 3’40”. Non sarebbe stato comunque un buon risultato ma mi avrebbe permesso di tornare a casa in un altro modo dal punto di vista mentale”.

Che gara è stata?
“Un buon 1500, perché hanno vinto in 3’32” (con Bussotti al PB in 3’33″08, ndr) e si è sviluppato in progressione. Io sono passato regolare in 1’13” e poi in 2’27” nonostante abbia scelto di restare in fondo al gruppo. Ma nell’ultimo giro si è spenta proprio la luce, mi hanno sorpassato tutti e ho mollato anche di testa”.

Perché?
“Una concomitanza di vari fattori. Non è solo questione di condizione, che chiaramente non è ancora al top. Credo di aver pagato l’abitudine alla gara, dal momento che l’ultima risaliva a dieci mesi fa. E poi non mi era mai capitato di star fuori tutto questo tempo per un infortunio”.

Raccontaci come hai lavorato nell’ultimo periodo, una volta superato il problema al tendine.
“Ho ricominciato a correre all’inizio di aprile e fino alla fine di maggio sono andato in progressione negli allenamenti, sia sui volumi che sull’intensità. In questo senso mi ha aiutato tantissimo l’esperienza di Font Romeu, sui Pirenei lato francese”.


Quanto sei rimasto in altura?
“Cinque settimane. Sarei dovuto andare come al solito a St. Moritz. Ma anziché allenarmi da solo in Svizzera, ho colto l’occasione di allenarmi insieme agli altri atleti europei del team Hoka, che stava organizzando questo grande raduno con la possibilità di usufruire anche della sua squadra di fisioterapisti”.

Tra poche ore inizia la quattro giorni di Coppa Europa a Madrid. Era già messa nel conto la tua assenza?
“In inverno c’era l’idea di poter fare i 5000. Ma dopo il lungo stop, abbiamo preferito fare le cose senza fretta ed è giusto che non faccia parte della spedizione. Al momento non sono competitivo. Se mi avessero chiesto di andare, non avrei accettato perché bisogna dare spazio agli altri. La federazione ha puntato su Crippa, credo sia un’ottima scelta strategica”.

Sei preoccupato dopo Dessau?
“A caldo sì, adesso che è passato qualche giorno un po’ meno. Stiamo rimodulando qualcosa nella preparazione, consapevoli che mancano ancora due mesi e mezzo ai mondiali di Tokyo. Mi focalizzo sulla notizia positiva: ho corso senza alcun fastidio al tendine infortunato”.


Quando tornerai in pista?
“Avrei dovuto correre a Nembro e poi a Lignano Sabbiadoro, ma a questo punto rivedremo il calendario degli appuntamenti. Il punto fisso dell’estate rimangono però i Campionati italiani di Caorle, indipendentemente dalla forma. A mio avviso, se sei un atleta che ha ottenuto certi risultati in campo internazionale, ai tricolori devi esserci a prescindere, perché con la tua presenza aiuti la crescita del movimento. La penso come Spider-Man. Da un grande potere derivano grandi responsabilità”.

Nel frattempo, alle tue spalle, Federico Riva e Joao Bussotti si stanno dando un bel da fare.
“Faccio i complimenti a Federico, sta andando fortissimo ed è giusto che sia lui a rappresentare l’Italia in Coppa Europa. Sono felice anche per Bussotti, il cui exploit di Dessau ha in parte mitigato la mia delusione al traguardo. Lui ha sei anni in più di me, è sempre stato un punto di riferimento. Credo che finora non era riuscito a cogliere i risultati che meritava. E può ancora migliorare”.

Nel mezzofondo si corre sempre più forte e a Parigi, in Diamond League, ci sono già stati i 3’27” di Habz e Koech, in attesa del ritorno di Ingebrigtsen. Secondo Arese, i tempi sono maturi per il record del mondo di El Guerrouj?
“Non credo. Ho questa sensazione: non verrà battuto ne quest’anno né fino a Los Angeles 2028. E dico questo sapendo che c’è gente che si sta migliorando sulla distanza anche di cinque secondi in un colpo. Ma a questi livelli, quel secondo che separa il 3’27” dal 3’26” del marocchino è ancora tanto. Magari mi sbaglio…”.

Le foto di Pietro Arese sono di Grana / Fidal

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